"La famiglia tradizionale è estinta. Dal welfare alle pensioni: cambia tutto"

La composizione dei nuclei familiari è cambiata, così come i ruoli e le persone che li compongono. Intervista alla prof. Cecilia Tomassini

di Eleonora Perego
Politica

Tomassini (AISP) ad Affari: "In Italia crescono le famiglie unipersonali. Il governo rivoluzioni il sistema di welfare" 

Cosa vuol dire “famiglia”? Esiste una definizione universale? È giusto che lo Stato decida cosa si deve intendere per nucleo familiare? Interrogativi non nuovi, ma sempre attuali. Basti pensare alla recente introduzione del “reato universale” della gestazione per altri (utero in affitto, ndr). O ancora alle polemiche intorno alla decisione della Regione Lazio di revocare il patrocinio al “Roma Pride”. FamigliA, dunque, o famigliE? E ci sono risvolti pratici a quello che potrebbe sembrare solo un dibattito teorico?

Rapporto sulla popolazione dell’AISP (Associazione italiana per gli studi di popolazione). La ricerca (Mulino, 2023) è dedicata alle famigliE, al plurale. “E’ giunto il momento di pensare ad una nuova organizzazione della società, basata su un’idea diversa di famiglia”, scrivono i demografi Cecilia Tomassini e Daniele Vignoli nell’introduzione alla ricerca.

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Affaritaliani.it ha interpellato proprio Cecilia Tomassini, docente all’università del Molise e presidente di AISP, per provare a rispondere a tutti questi interrogativi.

Tomassini, ci vuole dire allora che cos’è “famiglia”?

Esiste una pluralità di definizioni, quella più tradizionale data dalla Costituzione, o quella più anagrafica data dall’Istat, per cui la famiglia è intesa “come un insieme di persone dimoranti abitualmente nella stessa abitazione e legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi”.

Tutte queste definizioni vogliono dire tutto ma vogliono dire anche niente. Dipendono tanto dal contesto in cui vengono rilevate, e dalla funzione che l’ente svolge. Una cosa è certa: i numeri descrivono una realtà diversa rispetto al passato.

Cosa raccontano i numeri e le statistiche?

Quello che emerge è che negli ultimi 20-30 anni la nostra idea di famiglia sta cambiando tantissimo, sono successe rivoluzioni nelle forme nelle famiglie italiane. Il matrimonio non è più l’evento che legittima l’inizio della vita sessuale, ci sono le convivenze, crescono le unioni tra italiani e stranieri, quelle tra partner dello stesso sesso. Ci sono anche le relazioni stabili ma tra persone che abitano in luoghi diversi (i LAT – living apart togheter, ndr). Assistiamo a una crescita delle famiglie unipersonali, a discapito di quelle con figli: 33% vs 30%. Anche il numero dei componenti di un nucleo familiare sta cambiando: si è passati da una media di 2,7 a 2,3.

Ma il numero delle famiglie, comunque la si voglia intendere, è aumentato, passando da 21 a 25 milioni. Ecco perché, alla fine, è importante quello che si sente essere una famiglia.

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Quindi cercare un significato comune di “famiglia” è inutile, se non impossibile

Al contrario. Rimane sempre quell’aspetto fondamentale di cura reciproca – di relazione e di scambio –, che continua ad esserci nonostante i tanti cambiamenti. Anzi, la funzione della famiglia è diventata ancora più forte dove lo Stato è assente.

Parliamo di numeri, di definizioni … non rischia di essere tutto troppo teorico?

No, i numeri servono per pensare e realizzare una nuova organizzazione della società, basata su un’idea diversa di famiglia. L’esistenza di diverse “forme” di famiglia fa capire che quella di riferimento per il welfare non può più essere la coppia monoreddito con due figli. E che le generazioni che si affacciano alla pensione non possono essere contemporaneamente il fulcro della cura dei bambini e dei “grandi anziani”, svolgendo un ruolo di duplice cura.

Cosa significa che bisogna ripensare al welfare familiare?

La diversità familiare non può e non deve diventare una disuguaglianza. Il fatto di nascere in una certa famiglia non deve essere un prezzo da pagare. In questa direzione devono andare le politiche di welfare. Anche se la famiglia può diventare più complessa, dal punto di vista delle forme, l’idea è quella di dare dei servizi che prescindono alla forma familiare. Sarebbe utile una maggiore semplificazione dell’aiuto, con infrastrutture permanenti, con delle pratiche assistenziali più agevoli.

Un esempio chiave è stato l’assegno unico, che ci ha fatto rendere conto che il bambino deve essere tutelato dallo Stato indipendentemente dalla famiglia e dalla situazione socio-economica che ha. Dobbiamo ri-pensare in termini di semplificazione.

Quali sono gli ostacoli che i Governi vedono in queste riforme?

Di famiglia si parla tantissimo, ma mai con l’idea di partire dai numeri. Siamo sempre stati un Paese che si è sempre rivolto poco all’evidenza empirica. I dibattiti a volte sono molto più ideologici che pratici, e questo è un grande limite, perché le famiglie fanno tanto e aiutano tanto. E il loro ruolo viene scarsamente riconosciuto.

Speriamo che il ministero della Famiglia abbia voglia di ascoltare queste nostre riflessioni, senza nascondersi dietro le ideologie. Ma guardando ai numeri, per capire su cosa e come intervenire. Le faccio un esempio: tutta la polemica sulla maternità surrogata, quante persone riguarda? 300, 400? Questa probabilmente non è la priorità del Paese, a fronte di centinaia di migliaia di nati in meno, dell’assenza di aiuti … Concentriamoci sui problemi delle famiglie, e istituiamo un circolo virtuoso dove queste vengano aiutate di più. Gli effetti saranno positivamente dirompenti.

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