Friuli, Salvini pigliatutto: vince anche il derby contro la lista Fedriga
Il dato che emerge da queste elezioni in Friuli Venezia Giulia è uno: stiamo assistendo al grande ritorno del leader della Lega (che tutti davano per spacciato)
Elezioni in Friuli Venezia Giulia, Salvini vince su tutti i fronti. Tonfo dei 5S. I dati
Il dato che emerge da queste elezioni in Friuli Venezia Giulia (affluenza in calo al 45,3% con 502.203 votanti) è un dato per certi versi inaspettato. In soldoni assistiamo al gran ritorno di Matteo Salvini che tutti davano per spacciato e che invece vince su tutti i fronti.
Vediamo quali. Intanto il centro – destra, guidato dalla Lega, sbaraglia completamente il centro – sinistra ed in ispecie la “strana coppia” Schlein – Conte che viene spietatamente annichilito e più che doppiato, 64,2% (7 punti in più rispetto a cinque anni fa) contro il 28,5%.
Poi Salvini vince nel centro – destra perché la Lega (19,2%), primo partito, batte Fratelli d’Italia (18,1%) che comincia a segnare il passo ed infine Salvini vince pure internamente il “derby” contro la lista Fedriga (17,7%), infarcita di big. Forza Italia conferma il trend moderato con un 6,7%. Per il resto si fa notare il Terzo Polo malinconicamente fuori al 3% e i no vax che ottengono il 4,7% con Insieme liberi.
Un successo, quello leghista, appunto inaspettato che però ridisegna equilibri e mostra un futuro che potrebbe essere diverso per il governo. La Lega senza dubbio esce netta vincitrice e si candida ad avere un peso maggiore sugli equilibri interni grazie anche all’ ”effetto Ministro” di Salvini esplicato con il Codice appalti e il decreto Ponte sullo Stretto.
C’è poi un dato da non sottovalutare e cioè che il partito fondato da Bossi ha una esperienza di governo, soprattutto del territorio, ma anche a livello nazionale, superiore a quella di Fratelli d’Italia. Inoltre, Giorgia Meloni deve fare attenzione a problematiche che possono nel medio – lungo termine risultare pericolose per la sua leadership sia nazionale che internazionale. La prima è la legittimazione che FdI stava guadagnandosi, in verità faticosamente, e che viene arrestata da incidenti di percorso. Legittimazione come partito che ha superato il suo peccato originale e cioè essere comunque l’erede del Movimento Sociale e quindi del fascismo più o meno in “doppiopetto”, come lo presentò Giorgio Almirante.
Il punto è che ogni tanto emerge una sorta di riflesso patellare che ricorda molto il film Dottor Stranamore in cui lo scienziato ex – nazista, magistralmente interpretato da Peters Sellers, non ce la fa proprio a trattenersi ed ogni tanto gli “scatta” automaticamente il braccio nel saluto nazista, movimento che lui cerca invano di contrastare e contenere con l’altro braccio.
Giorgia Meloni deve fare perciò i conti con chi cerca “farfalle sotto l’arco di Tito” -come nel caso del manager Claudio Anastasio- oppure con Ignazio La Russa, che seconda carica dello Stato di grande esperienza, scivola sulla buccia di banana di via Rasella- tuttavia ampiamente strumentalizzata- e costringe la Meloni ad intervenire parlando di “sgrammaticatura istituzionale”. Però –e questa è la seconda problematica- nel contempo, FdI deve dar conto ai suoi elettori, al suo zoccolo duro che è rappresentato proprio da chi magari tanti anni fa ha militato o comunque votato l’MSI.
La Meloni in campagna elettorale si è mossa in modo furbo con un comportamento doppio: da un lato appunto il doppiopetto almirantiano e dall’altro ha strizzato l’occhio alla frangia sovranista e populista, non prima però di aver schierato saldamente FdI nell’alveo atlantico, soprattutto grazie alla guerra in Ucraina.
E questa è comunque un’anomalia per il suo elettorato di riferimento, visto che il centro – destra con Salvini e Meloni è comunque almeno ideologicamente più vicino a Putin che a Zelensky. Quindi la premier deve dare un colpo al cerchio ed uno alla botte, un lavoro di delicato cesello politico e istituzionale che qualche volta però non riesce, come nei casi precedenti.
La Meloni deve fare dell’equilibrismo e questo appunto è vantaggio molto forte per la Lega che questa legittimazione istituzionale e politica l’ha già ottenuta da tanto tempo. Per quanto riguarda invece il centro – sinistra la situazione è tragica perché –come previsto- al di là dell’effetto novità la Schlein, ha perso addirittura peggio di Enrico Letta e questo è tutto dire. La sconfitta oltretutto mette di nuovo a rischio il modello a “campo largo” di zingarettiana memoria. Pd (16,6%) e Cinque Stelle (2,41%) con la lista Moretuzzo al 6,3%, perdono quando vanno insieme. Un monito sia per Partito democratico che per i Cinque Stelle, che fanno un tonfo storico e mettono in seria difficoltà la leadership di Conte.
Se il trend dovesse proseguire la politica della Schlein si rivelerebbe del tutto perdente, sbilanciata com’è sui diritti civili più o meno arcobaleni, una tematica che riguarda in fondo una minoranza della minoranza che però cerca di governare senza i numeri.