Lettera di Meloni, dalla resistenza bianca all'assist a Fini: cosa c'è dietro

La premier Giorgia Meloni ha affidato a una lettera inviata al Corriere il suo pensiero sul 25 aprile, ribadendo che questa è la "Festa della Libertà"

Di Giuseppe Vatinno
Giorgia Meloni e Gianfranco Fini
Politica

Nelle lettera sul 25 aprile Meloni ha ribadito la piena adesione della destra post fascista ai valori democratici e repubblicani non rinunciando però a contrapporre una diversa visione della resistenza. Il commento

E finalmente il gran giorno è arrivato. Un giorno a suo modo storico perché questo 25 aprile è stato caricato di significati numinosi dopo la vittoria del centro – destra alle ultime elezioni. C’è una parte di Italia e di italiani che vuole continuare a vedere in questa storica data la “festa della divisione” invece di quella della liberazione o ancor meglio della “Libertà”, come disse Silvio Berlusconi nel 2009 in un famoso discorso ad Onna, allora capo di un governo in cui sedeva anche una giovanissima Meloni. La sinistra ha passato gli ultimi mesi a chiedersi che cosa avrebbe fatto la destra il 25 aprile, sperando in qualche passo falso, in qualche inciampo, in qualche traversia.

C’è chi, come Radio Popolare, titola ancora oggi: “La fuga della destra da Milano per il 25 aprile”, con tanto di foto del Presidente del Senato Ignazio La Russa che si è recato a Praga rendere omaggio a Jan Palach martire dell’anticomunismo. Sono mesi che Radio Popolare “campa” sul 25 aprile, parlandone ogni giorno e il 25 aprile è arrivato e ahi per loro non è successo niente. Dovranno ora tornare a lavorare su temi seri, senza campare di rendita sul futuro.

Come sono mesi che Il Manifesto di Norma Rangeri campa parimenti di titoloni sull’evento, solleticando la pancia della balena rossa. Divertente il caso de Il Riformista che da mesi segue una linea ostile al centro – destra e che ha come direttore responsabile Andrea Ruggieri, ex deputato di Forza Italia e direttore editoriale nientepopodimeno che Matteo Renzi.

Finché c’era Piero Sansonetti la linea antigovernativa poteva avere anche un senso. Ora però che il pasionario rosso è traslocando all’Unità fa tenerezza vedere alla guida del giornale Renzi, l’uomo che da segretario del Partito democratico abolì l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, un baluardo della sinistra, un colpaccio che neppure a Berlusconi, alla destra e a Confindustria era mai riuscito.

Ma torniamo al presente. Oggi Giorgia Meloni ha scritto una lettera al direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana che ha più le caratteristiche del pamphlet che della missiva.

Una lunga lettera in cui cerca la “concordia nazionale” ripudiando il fascismo e ribadendo l’adesione a quei valori democratici che “il fascismo aveva conculcato”. Una dichiarazione non ambigua che però non rinuncia a cercare di rimodellare, per quanto possibile, gli eventi includendo anche dei valori positivi che la festa della Liberazione ha per il centro – destra.

“Il 25 Aprile 1945 segna evidentemente uno spartiacque per l’Italia: la fine della Seconda guerra mondiale, dell’occupazione nazista, del Ventennio fascista, delle persecuzioni anti ebraiche, dei bombardamenti e di molti altri lutti e privazioni che hanno afflitto per lungo tempo la nostra comunità nazionale. Purtroppo, la stessa data non segnò anche la fine della sanguinosa guerra civile che aveva lacerato il popolo italiano, che in alcuni territori si protrasse e divise persino singole famiglie, travolte da una spirale di odio che portò a esecuzioni sommarie anche diversi mesi dopo la fine del conflitto. Così come è doveroso ricordare che, mentre quel giorno milioni di italiani tornarono ad assaporare la libertà, per centinaia di migliaia di nostri connazionali di Istria, Fiume e Dalmazia iniziò invece una seconda ondata di eccidi e il dramma dell’esodo dalle loro terre. Ma il frutto fondamentale del 25 Aprile è stato, e rimane senza dubbio, l’affermazione dei valori democratici, che il fascismo aveva conculcato e che ritroviamo scolpiti nella Costituzione repubblicana”.

Non rinuncia quindi a parlare del dramma delle foibe e della questione istriana pur riconoscendo pienamente i valori democratici e repubblicani di quell’evento, “scolpiti nella Costituzione”. E poi ancora: “Capisco, invece, quale sia l’obiettivo di quanti, in preparazione di questa giornata e delle sue cerimonie, stilano la lista di chi possa e di chi non possa partecipare, secondo punteggi che nulla hanno a che fare con la storia ma molto hanno a che fare con la politica. È usare la categoria del fascismo come strumento di delegittimazione di qualsiasi avversario politico: una sorta di arma di esclusione di massa, come ha insegnato Augusto Del Noce, che per decenni ha consentito di estromettere persone, associazioni e partiti da ogni ambito di confronto, di discussione, di semplice ascolto. Un atteggiamento talmente strumentale che negli anni, durante le celebrazioni, ha portato perfino a inaccettabili episodi di intolleranza come quelli troppe volte perpetrati ai danni della Brigata ebraica da parte di gruppi estremisti. Episodi indegni ai quali ci auguriamo di non dover più assistere”.

Ed infine parla anche di una diversa visione della resistenza e cioè di quella “bianca”, cattolica e liberale, contrapposta a quella “rossa”. Lo fa citando una donna quasi centenaria, Paola Del Din, che ha combattuto nelle Brigate bianche Osoppo note per la strage di Porzûs in cui i partigiani titini comunisti trucidarono una ventina di partigiani bianchi, tra cui il fratello di Pier Paolo Pasolini, Guido, nome di battaglia “Ermes”.

Sottile l’operazione del presidente del Consiglio che contrappone idealmente Paola del Din, “patriota” e non “partigiana” a Liliana Segre che peraltro aveva sposato un uomo di destra, addirittura candidato con il Movimento Sociale di Giorgio Almirante.

Dunque per la Meloni il fascismo è “il male assoluto”? No, non lo ha detto, come Gianfranco Fini sperava che facesse, ma ha fatto appunto un’operazione più sottile, ha ribadito la piena adesione della destra post fascista ai valori democratici e repubblicani non rinunciando però a contrapporre una diversa visione della resistenza, quella dei “patrioti” della del Din (e non “partigiani”) e dei nuovi moderni patrioti ucraini che combattono per la loro patria invasa dai russi.

Ed è per questo che Giorgia Meloni è presidente del Consiglio e Fratelli d’Italia ha preso il doppio dei voti di Alleanza Nazionale, pur comparendo mirabilmente più a destra della formazione di Fini. L’ex presidente della Camera ha voluto strafare, ha voluto essere più realista e zelante del re ed ha fallito nel suo compito alienandosi i consensi della base, cosa che la Meloni non ha fatto.

Oggi su Il Foglio il ministro Francesco Lollobrigida attacca “Fini strumentalizzato dalla sinistra”, dopo che ieri lo aveva incenerito con un “non è più il suo tempo”, una affermazione di tolkeniana memoria. Forse da oggi il 25 aprile potrà cominciare ad essere considerato in modo diverso in Italia e nel mondo.

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