Giulia Cecchettin, "funerali show mediatico. Una telenovela per le tv"
Stefano Valdegamberi, consigliere regionale veneto, torna all'attacco su Affaritaliani.it
"Ci sono 200 uomini all'anno, separati, che per miseria, umiliazioni e che per disperazione si tolgono la vita ma nessuno ne parla"
"Ne sono state ammazzate tante di ragazze e di donne e nessuno ne parla mentre le televisioni stanno facendo diventare questo caso una telenovela nazionale". Lo afferma ad Affaritaliani.it Stefano Valdegamberi, consigliere regionale veneto eletto nella Lista Zaia e ora nel Gruppo Misto (dal quale il Governatre leghista ha preso subito le distanze) che qualche giorno fa, per il suo post sui social nel quale criticava le parole di Elena Cecchettin aveva scatenato molte polemiche, commentando i funerali di Giulia Cecchettin "trasmessi in diretta da molte tv nazionali in uno show mediatico senza precedenti".
"Temo che l'obiettivo sia quello di enfatizzare questo caso, senza dubbio gravissimo, strumentalizzarlo e far approvare qualche legge assurda come l'educazione sessuale nelle scuole, dimenticandoci che il problema è un altro. I primi risultati, sull’onda dell’euforia emotiva sono già stati raggiunti: politici che si scusano di essere uomini, altri che stanziano fondi per educare contro il patriarcato. Non vorrei che diventasse un alibi per sdoganare la teoria gender nella scuola, buttata fuori dalla porta cerca di rientrare dalla finestra. In Consiglio regionale ci sono risoluzioni che impegnano la giunta veneta davvero assurde. Una del Pd che invita addirittura a modificare l’uso del linguaggio. Altre di Forza Italia e Lega spostano la soluzione nell'educazione a scuola quando il problema invece sta altrove".
"E' tutto strano in questa vicenda e soprattutto come viene strumentalizzata mediaticamente e politicamente. Vogliono che gli uomini chiedano scusa per il solo fatto di essere uomini. Settimana scorsa un mio amico si è suicidato perché vessato dai ricatti della fidanzata. Nessuno ne ha parlato. Ci sono 200 uomini all'anno, separati, che per miseria, umiliazioni e che per disperazione si tolgono la vita ma nessuno ne parla. La violenza ha diverse forme e non esiste l’uomo cattivo e la donna buona o viceversa. Questa è una pericolosa ideologia. E se dici qualcosa di diverso come faccio subito ti attaccano e ti mettono alla gogna. E invece nessuno dice nulla per certa musica giovanile che innneggia allo stupro e che i ragazzi ascoltano per ore e che parlano della donna come oggetto. Serve una riflessione più ampia. Non si possono lasciare ai figli con l'orsacchiotto a letto fino a 20 anni, dire sempre sì e poi al primo no ammazzano una ragazza in modo irrazionale. L’educazione si fa a casa, alla scuola spetta la formazione. L’annullamento della meritocrazia nella scuola, la mancanza di rispetto verso gli insegnanti, i ricorsi al Tar perché bocciano tuo figlio, contribuiscono a creare giovani incapaci di accettare la sconfitta nella vita. Si cresce con i no e non con i perenni si. Si cerca di criminalizzare l'uomo e la figura paterna evocando inesistenti “culture patriarcali", è un'ideologia che peggiora e non migliora la situazione", conclude Valdegamberi.
L'intervento nell'aula del Consiglio regionale veneto del consigliere Stefano Valdegamberi in risposta alle interrogazioni (vedi link qui sotto)
I link alle interrogazioni:
www.affaritaliani.it/static/upl2023/ris-/ris-0109.pdf
www.affaritaliani.it/static/upl2023/ris-/ris-0110.pdf
www.affaritaliani.it/static/upl2023/ris-/ris-0111.pdf
www.affaritaliani.it/static/upl2023/ris-/ris-0112.pdf
Intervento in aula su risoluzioni proposte al voto del consiglio regionale. Non e’ il patriarcato il problema ma l’assenza di modelli educativi e valoriali della società. Si educa al rispetto con i “no” e con gli esempi.
L’agghiacciante tragedia di Giulia ha scosso fortemente tutti. Attenti però che, spinti dalla foga propagandistica ed ideologica che ha preso il sopravvento, si rischia a far passare ciò che è la causa del problema come fosse la soluzione. Le decisioni politiche assunte in un momento di forte tensione emotiva, pur con i migliori intenti, rischiano di portare ad un peggioramento della situazione invece che ad un miglioramento. È veramente la società patriarcale il problema o, invece non sta proprio nella mancanza del ruolo paterno, del pater, nell’educazione dei figli, una delle cause di ciò che succede? Manca il ruolo del padre, che mette limiti, che incentiva l’autonomia e il coraggio, che stimola all’esplorazione della vita e alla fatica creativa, che sa dire dei “no” ai figli quando serve. Se diamo sempre tutto ciò che vogliono, li accontentiamo in tutto e per tutto, gli diamo ragione anche quando hanno torto davanti agli insegnanti, nella partita di calcio, ovunque, creiamo dei figli apatici, senza passione, fragili, eterni immaturi. Ricordiamoci che sono i “no” che fanno crescere non i perenni “si”. Come giustamente dice Crepet “I genitori sbagliano a giustificare sempre e comunque i figli. I ragazzi vanno male a scuola? Poverini. Prendono un’insufficienza? Colpa dei professori. Vengono bocciati? Ricorso al Tar. Abbiamo creato dei ragazzi che non conoscono la frustrazione, che non sanno che esistono anche i no. Smettiamola di tutelare i figli, di pensare di non avere difeso abbastanza le nostre creature. È semmai l’assenza o l’indifferenza nella crescita del ragazzo del ruolo del padre il problema non nella società patriarcale che non esiste da tempo. Il rapporto con l’altro è un rapporto di puro egoismo, in funzione dell’ego narcisista a cui siamo stati fin da bambini viziati perché, ad ogni lamentela, siamo stati subito accontentati. Tutte le risoluzioni proposte oggi giungono alle medesime errate conclusioni: si crede che il problema si risolva assegnando alla scuola l’educazione relazionale e affettiva. La scuola deve educare al rispetto delle regole, al rispetto degli altri, a partire dagli insegnanti stessi; deve riconoscere il merito e disconoscere il demerito; educare alla sconfitta ma stimolare nel contempo lo spirito di riscatto, evitando l’ideologico e dannoso appiattimento dei giudizi, “per non turbare”. Basta con il “poverino”. Il “sì” sempre e a prescindere nella scuola è altrettanto diseducativo e dannoso del “si” perenne dei genitori. Compete alla scuola, soprattutto, il compito di formare i ragazzi. L’educazione spetta, invece, in primis alla famiglia e non può essere delegata a terzi.
Queste risoluzioni sono viziate all’origine proprio dall’ideologia che è la causa dei problemi e non la soluzione. La soluzione proposta si contraddice, inoltre, con i numeri: nei Paesi ove si fa educazione affettiva e sessuale nelle scuole il numero dei cosiddetti femminicidi è tre, quattro o cinque volte maggiore che in Italia: sono i Paesi del Nord-Europa tutt’altro che patriarcali nel senso ideologico di questo termine. Normalmente si pensa che il tema della violenza sia connesso a quello dell’uomo macho. È vero l’opposto: gli uomini violenti hanno un deficit di virilità e di riferimento paterno», possiedono uno sregolato narcisismo, spiega un noto pedagogista. Manca la figura paterna, che mette limiti, che incentiva l’autonomia e il coraggio. Questo impedisce ai bambini di imparare a stare nelle contrarietà: non imparano ad ascoltare l’opinione degli altri; non imparano ad affrontare la divergenza; non imparano a tollerare un’opposizione alla propria volontà. Per non parlare poi - e ipocritamente nessuna risoluzione fa cenno - dei modelli negativi della nostra società edonistica e utilitaristica, veicolati attraverso i social media, la pornografia, la musica, etc. che arrivano a condizionare la fragile mente dei nostri ragazzi, disegnando i loro modelli di riferimento: perché nessuno apre un dibattito su questo?
La donna-oggetto è un tema ricorrente delle canzoni più in voga tra i nostri figli che inneggiano allo stupro, alla violenza e alla donna come oggetto di piacere. No: sentiamo dire che la cultura dello stupro è frutto della società patriarcale, queste canzoni non c’entrano: sono arte, libera espressione artistica. Finiamola con l’ipocrisia: dieci ore al giorno con questi messaggi contro un’ora di lezione settimanale?
Poi che lezione, con quali programmi, con quali relatori? Sui territori, la stragrande maggioranza di enti, associazioni o cosiddetti “esperti” che trattano questi temi nelle scuole lo fanno in base ad approcci ideologici e politici, diffondendo pericolose sciocchezze sulla fluidità sessuale o attacchi indiscriminati contro gli uomini in quanto tali, agenti di un inesistente “patriarcato”». Si rischia quindi di aggravare il disordine spianando, magari involontariamente, la strada alla teoria del gender, un esito che «sarebbe paradossale». Cari colleghi, credo che sia più utile rieducare i genitori a recuperare il dialogo con i figli, a insegnar loro che è con qualche “no” che si educa e soprattutto con l’esempio. Piuttosto, dedichiamo risorse perché le famiglie recuperano il ruolo educativo che viene sempre più a mancare, perché l’educazione non venga delegata allo smartphone. Sono loro che devono spiegare che l’amore non è sinonimo di sesso, che è in funzione del bene dell’altro e non soddisfacimento delle passioni e degli istinti personali. Proporrei nei curricula scolastici premialità per chi fa volontariato, per chi si occupa del bene degli altri e della società: queste sarebbero azioni utili. Chi si dedica gratuitamente al bene degli altri non è un omicida. Vi sono molti giovani che fanno questo e che meritano di essere portati a modello sociale. Il resto è denaro buttato in nome di ideologie che non risolvono i problemi ma li aggravano. Per questo ribadisco il mio voto contrario.