Draghi, governo in tensione: dai “tre squilli di tromba” al “tutti a casa”?
Un ulteriore strappo e Draghi saluterà la compagnia, chiudendo questa sua parentesi politica a Palazzo Chigi
O si rema tutti nella stessa direzione o buonanotte ai suonatori con le sue dimissioni a inizio aprile e le elezioni politiche anticipate a giugno
In poche ore il premier Draghi è passato dalle minacce ai partiti: “O cambiate registro o si va tutti a casa”, all’ironia: “Bellissimo governo, bravi ministri”. Un cambio di toni, più che un cambio di passo, che però non muta il clima di tensioni e fibrillazioni nell’esecutivo nè la sostanza del quadro politico e parlamentare dove l’incidente è sempre dietro l’angolo e il rischio di crisi è reale.
Dopo che alla Camera il governo è andato sotto sul Milleproroghe ben quattro volte Draghi ha dato l’aut-aut a partiti e parlamento mettendo i suoi paletti da qui a fine marzo: o si rema tutti nella stessa direzione o buonanotte ai suonatori con le sue dimissioni a inizio aprile e le elezioni politiche anticipate a giugno. Un redde rationem con il placet di Mattarella. Draghi non è premier da riconoscersi nel detto andreottiano: “E’ meglio tirare a campare che tirare le cuoia”, tanto meno fare da paravento per coprire i giochi e le risse dei partiti entrati nel ginepraio di una contesa elettorale permanente mai così ingarbugliata e fuori dalla realtà nazionale e internazionale.
Così si chiude la festadurata meno di un mese, dal 29 gennaio con i 55 applausi alla Camera per la rielezione di Mattarella. Così si prende atto della cancellazione delle coalizioni tenute insieme con lo scotch del potere e dell’imperversare di un trasversalismo improvvisato e arraffone dove tutto si fa e si disfa in funzione di interessi di parte. L’aut aut di Draghi rischia di essere interpretato come un segno di debolezza personale. E’ invece un atto di realismo politico, la presa d’atto che, così, l’autorevolezza e gli spazi di manovra del premier si stanno restringendo, anzi esaurendo.
Draghi ha fatto cadere la maschera dietro alla quale i partiti si nascondono da mesi. L’ultimatum del premier non è un richiamo specifico rivolto a questo o quel partito, a questo o a quella singola posizione, bensì una presa d’atto politica che – così – questa maggioranza non può proseguire e che, pertanto, senza svolta immediata, per lui altra via non c’è se non quella delle dimissioni. Vista la presa di posizione del premier, nessun partito di governo vuol tirare la corda fino a spezzarla, pagandone il fio. Quindi? Draghi non ha l’indole di chi tira il sasso e ritira la mano, tanto meno aspetterà impotente la prossima sberla, il prossimo tranello.
Tocca ai partiti tornare sulla “retta via”, con i fatti, coerentemente agli impegni presi davanti al presidente della Repubblica e davanti al Paese, sempre più in bilico fra la possibilità di uscita dalla crisi o il tonfo nel tunnel. Dopo le prime nuove falle, adesso c’è davvero il rischio della valanga. Draghi sa quel che può accadere, suo malgrado, e non può e non vuole sostenere da solo la baracca: tanto meno vuol fare da capro espiatorio alla guida di un fallimentare governo elettorale.
Ecco perché l’altolà del premier ai partiti non è tattico, non è voce dal sen sfuggita: siamo aitre squilli di tromba finali,dopo di che non resta che il “tutti a casa”. Un ulteriore strappo e Draghi saluterà la compagnia, chiudendo questa sua parentesi politica a Palazzo Chigi, guardando poi all’Europa o addirittura oltre Oceano, all’Onu. Sarà bene che i partiti ne tengano conto (anche Pd e Lega che non ne possono più di stare insieme nell’esecutivo) perché la posta in gioco è alta facendo saltare, con il governo, l’intero sistema politico. Quindi il Paese.
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