Arianna Meloni e la presunta indagine, perchè le nomine dei vertici delle società pubbliche sono molto più che una poltrona

In queste ore il direttore Sallusti sulle pagine de “Il Giornale” ha spoilerato in merito ad una verosimile indagine che riguarderebbe Arianna Meloni: avrebbe gestito le nomine dei vertici delle società a partecipazione statale

di Lisa Imparato
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Arianna e Giorgia Meloni
Politica

Arianna Meloni e l'articolo sul complotto, perché dietro le nomine c'è più di una poltrona. Commento 

Sulla totalità delle testate giornalistiche, in queste ore, sono apparsi numerosi articoli inerenti a una presunta indagine per traffico di influenze che interesserebbe Arianna Meloni. In particolare, quest’ultima, per come si legge, sarebbe stata “accusata”, di essersi occupata in prima persona di nomine e designazione ai vertici delle aziende di Stato. Mi ha fatto sorridere l’intera vicenda – allo stato astratta e priva di “oggettivo” fondamento - in quanto non è chiaro né in quale modo Arianna Meloni avrebbe “gestito” le nomine dei vertici delle società a partecipazione statale né i profili di illiceità di tale ingerenza. Insomma, un j’accuse vago: c’è il bersaglio ma non c’è la condotta da incriminare.

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Eventualmente ci si sarebbe dovuti indignare se il mandato di “seguire” tale compito fosse stato dato a un mafioso o ad altro soggetto similare, non a chi è naturalmente e alla luce del giorno inserito al vertice di una segreteria politica.

Poi da donna non ho potuto non notare un altro elemento che mi fa sempre riflettere, leggere i virgolettati in cui esponenti politici si rivolgono all’indirizzo della Signora Arianna Meloni, come la sorella della premier e non come Arianna Meloni e punto. Se fossero stati due fratelli avrebbero ricevuto lo stesso trattamento quantomeno “lessicale”?! Insomma, si è sempre la moglie di qualcuno, o la sorella di qualcun altro.

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La storia di sempre. Lo “scouting” eventualmente realizzato dalla segreteria politica di un qualsiasi partito politico eletto, quale mai connotazione illecita dovrebbe avere se questo è il funzionamento proprio del sistema improntato su rapporti di natura fiduciaria.

I lavori preparatori che precedono i provvedimenti di nomina di soggetti apicali si caratterizzano per l’incontro e scontro dialettico tra soggetti ideologicamente e politicamente contrapposti: esistono frizioni, visioni diverse, contrarietà, lavori di avvicinamento tra visioni opposte, accordi e compromessi. Questo è anche fare politica: chi pensate che abbia il tempo e il modo di intavolare queste trattative finalizzate alle nomine se non i tecnici della politica, perché di questo si sta parlando.

Dunque, se le tornate elettorali fanno rumore, le scelte delle nomine dei vertici delle Società Pubbliche lasciano a terra –in maniera silente- i cadaveri, perché uno non vale uno e la scelta di un apicale riesce a incidere sull’intero sistema molto più di quanto si possa pensare.

La chiave di lettura dell’intero “spoil system temperato” o “all’italiana” è proprio in questo aspetto: quanto incide la scelta su base fiduciaria di un vertice di una Authority o, in generale, di una società mista o a partecipazione pubblica? Per rispondere a questa domanda dovremmo mettere sulla bilancia gli interessi celati dietro a ogni istanza politica. Il vulnus, permettetemi, è proprio qui: le istanze politiche sono legittime quando orientate verso l’attuazione dell’indirizzo di governo e, quindi, le scelte “di partito” o “di coalizione” rispondono alla normale logica sottesa alle elezioni. Governa chi vince e chi vince sceglie.

Fin qui nulla quaestio. Che succederebbe se dietro alle istanze politiche si nascondessero losche connivenze (o convivenze?!) e intricate commistioni politico-mafiose? Qui verosimilmente dovrebbero urlare allo scandalo le testate giornalistiche e provocare la bagarre politica le opposizioni.

La cartina tornasole è offerta in maniera chiara –come sempre- dalle attività investigative che hanno riguardato alcune società partecipate -i cui processi sono attualmente in corso. Una tra tutte, al quanto significativa, ha riguardato i vertici di Rete Ferroviaria Italiana – RFI s.p.a. Società del gruppo FS che gestisce le infrastrutture ferroviarie italiane – considerati vicini, tra gli anni 2019-2020, a esponenti della politica nazionale e il clan dei Casalesi operante sul territorio della provincia di Caserta.

L’impianto accusatorio -sostenuto dalla Dda Partenopea- ha portato avanti la teoria secondo cui grazie all’appoggio di una parte della politica, alcune imprese dei clan, oramai da oltre un decennio, avevano avuto accesso alle “stanze blindate” dei vertici di RFI s.p.a., riuscendo a incidere su parte dell’aggiudicazione degli appalti, nonché su un altro aspetto assolutamente fondamentale, la progressione di carriera di dirigenti compiacenti, che avrebbero così assicurato, negli anni, la prosecuzione e la tutela del sistema.

Nel corso del processo – attualmente in fase di istruttoria dibattimentale - è emerso infatti come l’imprenditore di origine casalese, amico storico del boss di camorra noto come Sandokan, Francesco Schiavone, fosse riuscito a permeare il tessuto dell’importante partecipata, ad avere accesso a tutte le stanze di quel palazzo, da diventare tanto ingerente sì da essere in grado di incidere sulle carriere di dirigenti, di corromperne alcuni -questi ultimi oggetto immediato di licenziamento-, di riuscire ad aggiudicarsi contratti di appalti, alcuni dei quali – di elevato importo sopra le soglie comunitarie - assegnati finanche in affidamento diretto.

Un aspetto significativo, sul piano investigativo, è stato censito nel corso dall’attività d’indagine realizzata dalla Polizia Giudiziaria tra il 2019 ed il 2020, allorquando sono state documentate alcune cene in ristoranti del centro di Roma, tra l’imprenditore originario di Casal di Principe, il Sottosegretario ai Trasporti dell’epoca (non indagato nel procedimento in argomento) ed un dirigente dell’azienda.

Appare strano sicuramente che la politica si sieda a cena con i Casalesi, ma non anche che sieda con i vertici aziendali di una società partecipata centrale per l’asset nazionale come RFI s.p.a.: il motivo è ovvio, perché la politica sceglie i vertici e in molti sanno che senza l’avallo politico è impossibile anelare allo scanno più alto.

Fermandosi a un’analisi sterile, oggettiva, limitandosi dunque a osservare i fatti, viene da chiedersi come mai così tanta attenzione per una sola poltrona da parte della politica?

Si può senza dubbio asserire che un vertice aziendale abbia lo ius vitae ac necis nel mondo aziendale, potere di scelta del management, dei Capi Dipartimento, delle Direzioni acquisti, e a scendere dei vari Project Manager, dei R.U.P.., insomma di coloro i quali sono deputati a tradurre in bandi di gara le necessità aziendali, ad aggiudicare insomma le gare d’appalto. Si parla di un sistema enorme, di decine, centinaia di milioni di euro di appalti, di consulenze, un mare magnum di aziende che gravitano nell’alveo pubblicistico, di forza lavoro. Insomma, un sistema che muove danaro e, spesso, anche consensi elettorali.

Quando all’inizio della mia carriera professionale sentivo parlare nel corso delle investigazioni nell’ambito societario di “abbrivio aziendale” ero incuriosita e ho capito poi negli anni quanto lo stesso fosse “fondamentale” per preservare i sistemi e come esistesse in quasi tutti gli ambiti dove esista un potere. L’abbrivio aziendale altro non è che la famosa cordata, dove il capo che arriva pone i suoi in posizioni tali che anche quando quest’ultimo non ci sarà più, per un tempo x, ci sarà comunque la propria linea di potere che ne assicurerà la prosecuzione di quelle linee guida.

Il tempo passa per tutti e soprattutto per chi perde il potere del governare si esauriscono i propri canali di approvvigionamento, insomma è un po’ come quando si va in pensione, i primi anni ci sono ancora i colleghi che ti offrono il caffè, fino a quando non sarai più riconosciuto e sarai bloccato dal portinaio all’ingresso, in seguito alle direttive impartite dalle nuove generazioni che non ti riconoscono più alcun potere.

La stessa cosa avviene per chi ha avuto un ruolo politico o dirigenziale apicale, che, non avendo oramai possibilità di incisione, scalpita e batte i pugni, volendo essere un interlocutore, ma non essendolo naturalmente più, lamentandosi però delle stesse regole che per tanto tempo ne hanno assicurato la propria supremazia, insomma: la fine dell’abbrivio!

*Sostituto Procuratore della Repubblica, Consulente Commissione Parlamentare Ecomafie presso la Camera dei Deputati, Consulente Giuridico Ministero della Difesa e docente presso il Centro Alti Studi della Difesa e Covi.