Mario Monti, esplode la rivalità con Draghi

Nonostante l'ex premier professi un animo ormai sgravato da ogni ruggine, dalle parole degli ultimi giorni emerge una vena di rivalità con Mario Draghi...

L'opinione di Lorenzo Farrugio
Mario Draghi e Mario Monti
Politica

Un Monti inedito regala a Draghi la paternità dell’austerità, si intesta la salvezza dell’area euro, rivendica l’elezione al Colle di Napolitano e Mattarella e gli esecutivi Letta, Renzi e Gentiloni come figli della sua scelta di correre alle politiche del 2013, rifiutando la guida del centrodestra offertagli da Berlusconi.

Mario Monti sul Corriere della Sera del 4 maggio, in occasione dell’uscita del suo ultimo libro "Demagonia" edito da Solferino, ci regala un'intervista sgorgata dalla penna del miglior Cazzullo in cui racconta dei retroscena gustosi sulla scelta dei ministri del suo governo (con l'immancabile “ipotesi Amato” e Gianni Letta scartati all'ultimo) e le motivazioni che portarono alla sua candidatura alle politiche del 2013 insieme alla fondazione di Scelta Civica.

Nonostante Monti professi un animo ormai sgravato da ogni ruggine, dalle sue parole emergono la mancanza di timore nell'esprimere posizioni impopolari e soprattutto una vena di rivalità con Mario Draghi, al quale pure un tempo lo accomunava il soprannome lusinghiero di Super Mario: «Il “whatever it takes” di Draghi ci aiutò; ma non sarebbe bastata una frase a salvare l’euro e il nostro Paese, se non avessimo cambiato noi gli equilibri politici in Europa […]». Questo tratto si era già manifestato ai tempi della formazione dell'esecutivo guidato dall’ex presidente della BCE, quando Monti tenne a sottolineare dalle colonne del Corriere della Sera che la differenza di percezione tra il suo governo e quello di Draghi fosse dovuta alla fase profondamente diversa in cui i due gabinetti, pur entrambi tecnici, si erano innestati dato che nel 2011 bisognava propinare una cura “lacrime e sangue”, mentre nel 2021 si trattava di decidere come allocare le risorse del più grande piano di investimenti pubblici della storia del Paese (il PNRR).

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Più ancora nel suo libro, Monti ridimensiona apertamente il ruolo dell’allora presidente della BCE Draghi nel concepire lo scudo anti – spread adottato nel 2012 (sotto forma di Outright Monetary Transactions) per evitare il collasso dell’area euro. Monti racconta come fosse stato lui a suggerirlo con tanto di dettagli tecnici a Draghi mesi prima del suo annuncio, incontrando la netta resistenza di quest’ultimo fino a quando il presidente francese Hollande non decise di supportare le richieste italiane e spagnole al consiglio europeo del 28 e 29 giugno del 2012. Se la salvezza dell’Italia e dell’euro la intesta a sé, Monti regala invece a Draghi la paternità del Fiscal Compact, il trattato intergovernativo che, se non fosse stato poi disatteso, avrebbe comportato per l’Italia l’obbligo di ridurre il suo debito pubblico di 40 miliardi l’anno per un ininterrotto ventennio. Monti addebita la severità delle misure, proposte in quella congiuntura recessiva dall’allievo eccellente dei keynesiani Federico Caffè e Franco Modigliani, a una sopposta subalternità alla Germania, che l’ex governatore di Bankitalia si sarebbe preoccupato di rabbonire, dopo essere prevalso sul candidato tedesco nella corsa al vertice della BCE.

In forma molto più ovattata e senza alcun clamore queste considerazioni erano già circolate nell’ambiente bocconiano in concomitanza con la celebrazione dei 120 anni dell’Università Bocconi del 7 dicembre del 2022, quando la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen rese omaggio a Mario Monti.

L'ex rettore della Bocconi manifesta un'autoconsapevolezza retrospettiva notevole quando dismette i panni da salvatore della patria, che pure agli inizi in molti gli prestarono, e ammette che il suo costume di scena a Palazzo Chigi somigliasse a quello del capro espiatorio. Nel 2011 infatti venne chiamato ad assumersi il fardello di scelte impopolari a fronte di una classe politica che le aveva rese necessarie ma le avrebbe poi disconosciute nel tentativo di scansare l'ira degli elettori. Chiama anche in “correità” Mario Draghi per il varo sofferto della riforma Fornero e delle misure più dure di austerity.

Queste divennero un sentiero obbligato, nella lettura del professore bocconiano, per via della richiesta all’Italia di raggiungere il pareggio sostanziale di bilancio un anno prima dei suoi partner europei (che Monti dice non fosse stata concordata coi presidenti della Commissione e del Consiglio europei e al di fuori dei poteri della BCE), contenuta nella lettera a firma congiunta di Jean-Claude Trichet e Draghi, in quel momento presidenti rispettivamente uscente  ed entrante della Banca Centrale Europea, spedita il 5 agosto del 2011 al governo italiano. Sfogliando questi passaggi del libro, per un attimo si ha la sensazione di aver confuso il nome dell’autore: sembra di star leggendo Tremonti, da tempo immemore cantore dei limiti di Mario Draghi.

Nonostante dichiarazioni così caustiche, il senatore a vita, forte di avere ormai 81 anni, non mostra di nutrire tema dei contraccolpi personali e di immagine che potrebbero derivare dal muovere critiche a figure istituzionali molto amate.

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A prescindere dalle motivazioni di Monti sulla scelta della tempistica di pubblicazione del suo libro a 12 anni dagli eventi che tratta, queste rivelazioni non potranno che seminare “fear, uncertainty and doubt” sul banchiere romano e pesare a giugno al momento della partita a scacchi giocata dai 27 per assegnare le presidenze della Commissione e del Consiglio europei. Per queste caselle chiave Draghi sarebbe un ottimo candidato e, di sicuro in questo frangente, l’unico italiano ad avere i numeri per almeno entrare in lizza. 

L’ex direttore generale del Tesoro finora non si è preoccupato di sconfessare (o confermare) le ricostruzioni del collega economista ma in questi casi “una smentita è una notizia data due volte” (G. Andreotti).

Il senatore a vita rinnega inoltre la matrice di Cipolla (condensato de “Le leggi fondamentali della stupidità umana”) quando lamenta che i media etichettino come “imperdonabile ingenuità” l’anteposizione dell’interesse generale a quello personale.

Nessuna buona azione rimane mai impunita? Pur sorvolando su un eventuale componente di ambizione personale, l’ex commissario per la Concorrenza svela dopo tanti anni il senso dell’operazione “Scelta Civica”.  È opinione comune che “se non mi fossi candidato, sarei diventato presidente della Repubblica” – afferma Monti – ma “[…] senza Scelta civica che sottrasse a Berlusconi una parte dei voti di centro, presidente della Repubblica sarebbe diventato lui. E non avremmo avuto né la rielezione di Napolitano, né Mattarella. Né, naturalmente, Letta, Renzi, Gentiloni”.

L’ex presidente del Consiglio rivendica di aver rifiutato l’offerta del Cavaliere (che pure non fa mistero di aver votato ai suoi esordi) di assumere la guida del centrodestra alle politiche del 2013, consapevole del fatto che Berlusconi, Crono con tutti i suoi designati successori, intendeva adoperarlo solamente come una foglia di fico per recuperare autorevolezza e assorbire, intestandosela, la manovra, che andava prendendo corpo in quei mesi, di costruzione di uno schieramento “montiano”. La sua risposta a Berlusconi ricorda quella che Pier Ferdinando Casini diede al patron del Milan quando gli avanzò la stessa proposta in altri frangenti: “Andrò a lavorare da Mediaset quando smetterò di fare politica”.

Monti accosta al pifferaio di Hamelin (che campeggia sulla copertina del suo nuovo libro) i "governi molli" che rinviano le decisioni difficili e comprano consenso con bonus e privilegi a gruppi di pressione ben organizzati, regalando debito e (future) tasse al resto della popolazione. Derubano Pietro per pagare Paolo, direbbero gli inglesi.

Poco prima che l’intervista di Cazzullo volga al termine, torna il Monti impermeabile alle polemiche. Richiama tutti all’esercizio di realtà quando riafferma il rimosso dall’inconscio collettivo, ovvero la necessità ineludibile per gli europei di compiere sacrifici nel contesto di duplice guerra che l’UE si ritrova a gestire, per evitare di diventare la periferia di stati totalitari. Ma va oltre, riesumando l’antico argomento che vuole che siano le cesure sanguinose della Storia a cementare nei popoli il sentimento di comune appartenenza e senso dello Stato.

“[...] Si potrà fare una vera Unione Europea senza spargimenti di sangue? Quanto meno, servirà che i politici facciano sacrifici, compreso il più grande: non essere rieletti”.

Aggiungo infine un dettaglio che l'intervista non dischiude: nel 1994 il governo Berlusconi I si era accordato col PDS per designare come commissario europeo per l'Italia Giorgio Napolitano insieme a Mario Monti (ai tempi l'Italia deteneva 2 seggi in seno alla Commissione Europea) ma i Radicali, in maggioranza ma rimasti a bocca asciutta al momento dell'assegnazione degli incarichi ministeriali nel I esecutivo Berlusconi, protestarono a tal punto che il Presidente del Consiglio dovette preferire Emma Bonino a Giorgio Napolitano. A quest'ultimo Berlusconi spiegò che un posto da commissario UE toccava ai radicali e per l'altro "a Monti non si può dir di no", per via della sua irrefragabile competenza.

Leggenda vuole che nel novembre del 2011, dopo la caduta del Berlusconi IV, al momento delle consultazioni Giorgio Napolitano avesse deciso di uccidere il serpente col suo veleno, proponendo a un recalcitrante Cavaliere il nome del professore bocconiano, ex commissario UE.

Del resto a Monti non si può dir di no.

 

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