Meloni in Tunisia per evitare la nuova "invasione" di migranti

Scongiurare il default sbloccando il prestito da 1,9 miliardi

di Vincenzo Caccioppoli
Politica

Giorgia Meloni aveva portato la questione all’ultimo Consiglio europeo, ottenendo la massima attenzione da parte degli altri paesi, Francia e Germania in testa

 

Ha molti significati il viaggio lampo di oggi della premier Giorgia Meloni in Tunisia, un paese allo sbando e alle prese con una crisi economica devastante. Il primo obiettivo della Meloni è chiaramente quello di scongiurare il default del paese, che potrebbe essere scongiurato solo dal prestito da 1,9 miliardi congelato dal Fmi, per la scarsa collaborazione sul fronte delle riforme necessarie al paese per risollevarsi  da parte di Kais Saied, l’autoritario premier tunisino.

Giorgia Meloni aveva portato la questione all’ultimo Consiglio europeo, ottenendo la massima attenzione da parte degli altri paesi, Francia e Germania in testa. La paura del nostro premier che poi è anche quella dell’Europa è che il precipitare della crisi economica potrebbe generare un vero e proprio esodo da quel paese verso le nostre coste, come già in parte sta avvenendo in questi ultimi mesi. Una visita che è stata definita “cruciale” dalla commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson, che riguarda da vicino l’Italia e l’Europa già alle prese con una crisi migratoria in crescita esponenziale. Secondo dati non ufficiali delle Nazioni Unite, 25.000 di coloro che hanno raggiunto l'Italia quest'anno ( quasi la metà del totale) sono salpati dalla Tunisia, contro i 1.300 dello stesso periodo del 2022, un'inversione rispetto allo schema precedente per cui la Libia era il principale trampolino di lancio per i migranti.

Ma al di là di questo obiettivo primario di questa visita lampo, che dimostra l’attivismo e l’impegno della premier sul fronte africano,  questa missione tende anche a rafforzare il nostro ruolo nel Maghreb, da tempo lasciato in “mano” di russi, cinesi e turchi. I recenti viaggi in Libia e Algeria stanno a dimostrarlo e questo è anche uno dei probabili motivi di scontro con Macron e la Francia, che sembra avere perso da tempo influenza e potere sulla zona. Infine la Tunisia può ben rappresentare un primo vero e naturale banco di prova per quel famoso piano Mattei che la premier vorrebbe mettere in pista in Africa, con il beneplacito della Germania di Olaf Scholz.



Ed è su questa falsariga che la Meloni si muoverà nei suoi colloqui con Saied e la premier tunisina Najla Bouden Ramadan, assicurare che questi aiuti del fondo monetario internazionale fanno parte di un piano strategico volto ad aiutare le economie africane a svilupparsi e crescere economicamente. Il suo intento sarà quello di far digerire al premier tunisino le riforme che il fondo monetario internazionale chiede per sbloccare gli aiuti da 1.9 miliardi, senza però mostrarsi troppo intransigente e dare adito ad accuse di ingerenze nei confronti di chi ha mostrato un certo fastidio verso Fmi, Usa e Commissione europea che stanno pressando da mesi Tunisi su questo fronte.

Ed è proprio di questo che ha parlato, prima di imbarcarsi per Tunisi, con Kristalina Georgieva, direttrice del Fmi e Ursula Von der Leyen, presidente della commissione europea, in una lunga telefonata alle due. Il sentiero è molto stretto ma il tempo stringe e il baratro si avvicina. Il tenore di vita è diminuito a causa dell'aumento dei prezzi e dei bassi salari, e il tasso di disoccupazione giovanile, che ha iniziato a scendere da un picco superiore al 40% nel 2021, sta nuovamente aumentando (la disoccupazione totale è ormai oltre il 17%).

Negli ultimi due anni oltre 600.000 tunisini sono scivolati sotto la soglia della povertà assoluta. Solo nel 2022 il debito pubblico tunisino è aumentato di 3,4 miliardi di euro, arrivando alla cifra di 35 miliardi di euro. Una situazione a cui solo l’aiuto del Fmi può dare un minimo di sollievo. Ma le richieste del Fmi sono state precise e dettagliate per avere gli aiuti: sostituire le sovvenzioni dirette dei prodotti alimentari e di servizio con aiuti diretti alle famiglie, con l’intento di eliminarle definitivamente nel 2024; la riduzione della massa salariale nel settore pubblico, uno degli elementi cardine del sistema nazionale tunisino ed esplosa durante la pandemia nel settore della sanità; programmi di pensionamenti anticipati o di lavoro part time. Riforme ancora non attuate e che stanno creando una pericolosa impasse.



In Europa esistono due fronti uno formato dai paesi del sud, con Italia in testa che spingono per un compromesso, che prevede uno sblocco dei fondi man mano che vanno avanti le riforme ,mentre i cosiddetti paesi frugali del nord Europa, che invece sono per una posizione più intransigente. Da Bruxelles fanno sapere che si tratta di una questione prioritaria, ma la presidente del Consiglio sembra non fidarsi troppo delle rassicurazioni di Bruxelles e gode del pieno appoggio di Scholtz (con il quale si incontrerà domani a Roma, anche per parlare di questo), che in patria è costretto a fare i conti con una crescente impopolarità anche a causa dell’aumento dell’arrivo di migranti.

Per questo ha deciso di accelerare i tempi e di volare da sola per tentare una difficile operazione di mediazione con il leader tunisino. La missione della Meloni in Tunisia,  rappresenta anche un segnale forte a Bruxelles e a Washington (durante l'ultimo G7 in Giappone, la premier italiana ha discusso della cosa anche con Joe Biden) sulla necessità di stringere i tempi, lasciando da parte ritrosie e opportunismi, perché in ballo c’è anche la credibilità dell’Europa e degli Usa in una zona, cui guarda con sempre maggiore interesse il nuovo corso della Cina di Xi jinping, che da anni ha adottato una politica espansiva in tutta l’Africa, alla ricerca delle preziose materie prime, in cambio di aiuti ed investimenti. E questo potrebbe essere una delle chiavi di volta che potrebbe convincere gli Usa a premere per un salvataggio del paese africano. Senza contare che anche Erdogan, neoletto presidente per terza volta della Turchia, da tempo ha allargato la sua influenza su una decina di paesi africani, e dopo il colpo di stato di Saied, sta alla finestra pronto ad intervenire anche in Tunisia, come ha già fatto in Libia, mesi fa.

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