Patto sì, Mes no. Tutto concordato prima. Affari svela il piano di Meloni & Co

A Meloni fa comodo l'astensione di Forza Italia sul Mes e non può lasciare la bandiera del no a Salvini

Di Alberto Maggi
Meloni Salvini Tajani
Politica

Già mercoledì mattina la strategia era stata definita a quattro tra Meloni, Salvini, Tajani e Giorgetti (che come sempre ha una posizione ambigua)

 

Era tutto concordato fin da mercoledì mattina quando con un giro di telefonate a quattro - tra la premier Giorgia Meloni, i due vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani e il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti - è stata decisa la strategia della maggioranza sui due temi chiave dell'agenda europea. Strappare il più possibile sulla riforma del Patto di Stabilità (ad esempio il rinvio al 2027 del rientro oneroso sul rapporto debito-Pil) ma comunque dare l'ok per evitare l'implosione dell'Unione europea e soprattutto il ritorno in vigore delle vecchie regole pre-Covid dal primo gennaio 2024. E, subito dopo, cioè ieri, votare contro la ratifica in Parlamento del Meccanismo Europeo di Stabilità, il famigerato Mes.

Chi parla di spaccatura nella maggioranza non ha capito che era tutto stabilito e deciso prima. Tanto che lo stesso Giorgetti, secondo indiscrezioni, avrebbe fatto capire ai suoi colleghi europei dell'Ecofin che il Mes non sarebbe passato, non certo per sua decisione ma constatando le posizioni politiche della maggioranza e anche di una parte dell'opposizione (i 5 Stelle). A Meloni fa comodo l'astensione di Forza Italia e non la considera affatto una rottura. Anzi, le serve avere un partito della coalizione di governo che sia meno euroscettico per tenere aperta la porta del dialogo sia con il Ppe sia con l'uscente Commissione europea, considerando che molto probabilmente ci sarà il bis di Ursula von der Leyen.

E Fratelli d'Italia, allo stesso tempo, non poteva astenersi per non lasciare l'autostrada elettorale della battaglia contro l'austerità di Bruxelles alla Lega. Per Tajani invece l'astensione sul Mes serve strategicamente per dimostrare all'elettorato moderato che Forza Italia non è appiattita su FdI e Lega e per contrastare la concorrenza al centro, in vista delle elezioni europee, di Carlo Calenda e di Matteo Renzi (due centri distinti che avranno proprio come bandiera l'europeismo e che puntano ai voti azzurri).

A questo punto il governo chiederà a Bruxelles modifiche al Mes per poterlo ratificare ma sarà un processo comunque lunghissimo che difficilmente andrà in porto, anche perché dovrebbe essere nuovamente ratificato da tutti gli altri Paesi Ue che hanno già dato il via libera alla versione bocciata a Montecitorio. Tutto rimandato a dopo le elezioni europee e gli scenari potrebbero cambiare in base ai numeri al Parlamento Ue e al tipo di maggioranza che sosterrà la nuova Commissione, anche se difficilmente ci saranno sconvolgimenti. Politicamente la maggioranza ha trovato la quadra con Meloni da player lasciando l'astensione (gradita) e di Forza Italia ed evitando alla Lega di essere l'unica sulle barricate a difendere l'Italia dalla "cattiva Europa a trazione tedesca".

Per quanto riguarda Giorgetti, che certamente avrebbe preferito un esito differente e che avrebbe avvertito che "ce la faranno pagare" (il no al Mes), ormai - spiegano fonti leghiste - si considera un tecnico più che un politico. Ha un mandato, cerca di svolgerlo nel migliore dei modi ma, come è sempre stato nella sua indole non avendo mai voluto diventare segretario della Lega anche quando c'è stata più di un'occasione in passato dopo la malattia di Umberto Bossi, si attiene alle decisioni che vengono prese dai leader. Sia da Meloni per quanto concerne il governo sia da Salvini per quanto riguarda la Lega.

Ciò non significa che sia un mero esecutore, la Legge di Bilancio è di fatto figlia sua e in Europa ha svolto un lavoro importante per mitigare le pulsioni ultra-austerità di Berlino e alleati, ma lascia sempre che l'ultima parola spetti ad altri. Ecco perché le dimissioni, chieste da Elly Schlein dopo il no alla ratifica del Mes, non esistono nemmeno come tema. Giorgetti in Italia e in Europa ha sempre affermato che "il Mes è un argomento sul quale decide il Parlamento". Il Parlamento ha deciso e lui prende atto. Punto. Chi lo conosce bene sa che è fatto così, lancia i segnali e gli avvertimenti ma tutto gli scivola addosso.

Non a caso proprio oggi, dopo l'ok del Senato alla fiducia sulla manovra, Giorgetti, che non va dimenticato è anche uno dei vicesegretari della Lega, si è allineato ai leader (di governo, Meloni, e di partito, Salvini) affermando: "Tutto si può migliorare, anche il Mes. Questi trattati sono stati fatti in certi periodi storici, probabilmente anche la storia chiede altri tipi di risposte. Anche il Patto di Stabilità, perché si è cambiato? Perché quando fu fatto col vecchio Patto c'era una situazione totalmente diversa e oggi ci sono altri tipi di necessità. Anche per le ambizioni che ha l'Europa". Sibillino, serafico. Come sempre.

Poi, a conferma di quanto scritto, Giorgetti dà una risposta da pure tecnico e non politico. "Il ministro dell'Economia e delle Finanze aveva interesse che il Mes fosse approvato per motivi economico finanziari ma per come si è sviluppato il dibattito negli ultimi giorni con giurì d'onore e queste cose qui non mi pare ci fosse aria, mi è sembrato non ci fosse aria ma per motivazioni non soltanto economiche". Poco abile nella comunicazione, non è una novità, Giorgetti ha scatenato una bufera con queste parole che sembrano contro Meloni e Salvini. Ma così non è. La sua era una risposta tecnica. Appunto, da tecnico. Infatti ha precisato: "Il ministro dell'Economia e delle Finanze...". Ma che Giorgetti non fosse un esperto di comunicatore non lo scopriamo certo oggi.

A conferma dell'ambiguità tra il Giorgetti politico e tecnico vanno lette anche queste dichiarazioni: "Sul Mes che ci fossero problemi era noto a tutti. Abbiamo fatto un passo in avanti sul Patto di Stabilità, ma le sfide in Europa sono ben altre. Non è che l'Europa ha sempre ragione", ha risposto ai giornalisti a margine dell'Aula del Senato. Ai cronisti che gli chiedevano se sul Mes ci fosse stato uno strappo con l'Europa, ha risposto di "no".

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