Pd, Stefano: "Il campo largo va ridisegnato”. Intervista
Il senatore dem Dario Stefano ad Affari: "La penso come Prodi". E sul dl Aiuti aggiunge: "Se il M5s non vota la fiducia si apre un problema politico"
Decreto Aiuti, Dario Stefano (Pd): “Se il M5s non vota la fiducia si apre un problema politico. Il campo largo? La penso come Prodi. Va ridisegnato. Sarebbe complicato lavorare a un progetto riformatore con chi oggi dovesse commette l’errore di mettere in difficoltà l’agenda del Governo”
All’indomani dell’incontro tra il presidente del Consiglio, Mario Draghi, e il leader del Movimento cinque stelle, Giuseppe Conte, nel Pd c’è chi come il senatore Dario Stefano non vuole sentir parlare “di pericolo scampato”. Anche se aggiunge: “Ma non si può neppure cantare vittoria”.
Intervistato da Affaritaliani, il presidente della commissione Politiche dell’Unione europea spiega: “La questione qui è una sola: provare a tenere la barra dritta sul tema della responsabilità per assicurare al Governo attuale, soprattutto in una fase molto delicata come questa, un sostegno che sia leale e che non abbia l’occhio costantemente rivolto alle questioni interne o ai sondaggi”.
Facile a dirsi, ma poi…
L’importante è che tutti teniamo a mente che questo Governo è nato su un’agenda di responsabilità, che non può piegarsi alle esigenze dei singoli partiti, né alle difficoltà interne agli stessi.
La vera prova sarà il decreto Aiuti, non tanto alla Camera quanto al Senato dove non è possibile un voto disgiunto tra la fiducia e il merito del provvedimento. Non le pare?
Non è il tempo delle tattiche parlamentari, tra l’altro su un provvedimento che contiene interventi volti a lenire le difficoltà delle famiglie e del sistema economico. Non possiamo consentire che il Governo proceda a singhiozzo, tra stop and go, perché dobbiamo tenere in piedi un’agenda che ha sempre nuove criticità da affrontare, dal costo dell’energia e delle materie prime alla nuova ondata del virus, che pure non va sottovalutata anche per gli effetti che può riverberare sul sistema economico.
Ammetterà che se il M5s non dovesse votare la fiducia si aprirebbe un problema politico.
Si aprirebbe un problema politico, eccome. Ecco perché al Senato dobbiamo fare in modo che si sminino tutte le incomprensioni che hanno generato le recenti fibrillazioni.
Più che incomprensioni, qui è in gioco una battaglia identitaria del M5s contro l’inceneritore…
Guardiamo i fatti: che ci sia un’emergenza a Roma è del tutto evidente e che ci sia la necessità di affrontarla è altrettanto chiaro. E, poi, non mi sembra che siano emerse soluzioni alternative sul tema. Aggiungo infine un’altra considerazione.
Quale?
Può anche succedere che in qualche passaggio parlamentare le singole forze politiche facciano uno sforzo in nome della responsabilità e delle priorità del quadro attuale, abbandonando bandierine identitarie e oltranzismi.
Se così non fosse, l’esperienza dell’esecutivo finirebbe, come ha spiegato anche Draghi?
Non voglio ragionare su scenari alternativi dal momento che il quadro attuale è quello più autorevole, sia in ambito nazionale che internazionale. Abbiamo una guerra tutt’ora in corso alle porte dell’Europa, un Pnrr da attuare, progetti da mettere a terra e piani concordati con l’Europa. In questo senso andrebbe fatta maggiore attenzione a non offrire spazio a temi divisivi.
Questo allora vale anche per Cannabis e Ius Scholae, che sono temi importanti proprio per il Pd?
Sono temi del dibattito parlamentare che non possono essere censurati, ma che io proverei a tenere ben distinti dall’agenda del Governo, sulla quale tutta la maggioranza è chiamata a mantenere responsabilmente coesione. Tutto qui.
Al di là di questa contingenza parlamentare, lei che idea si è fatto, crede che sia solo questione di tempo, quello necessario per scavallare il rischio urne anticipate, e poi il M5s abbandonerà il Governo?
Io credo che non sia nell’interesse né del M5s e né di Conte regredire ad una posizione politica precedente al loro impegno al governo del Paese. Faccio davvero fatica a immaginare l’ex premier nei panni di capo di un Movimento che ritrova linguaggi e battaglie che proprio con l’esperienza maturata all’esecutivo dovrebbero essere state definitivamente superate. Ritornare a una dimensione identitaria e populista non gioverebbe. A loro e, nell’altro campo, neppure alla Lega e a Matteo Salvini.
Ritiene che il campo largo sia ormai imploso?
Io condivido totalmente la posizione espressa da Romano Prodi.
Si spieghi.
Prodi ha chiarito che quel campo largo va ridisegnato, sapendo che con chi oggi dovesse commettere l’errore di mettere in difficoltà l’agenda di questo Governo sarebbe complicato lavorare a un progetto riformatore che il Pd è candidato a guidare.
Tutta questa vicenda potrebbe imprimere un’accelerazione sul proporzionale?
Il tema c’era già da prima. E riguarda l’attuale sistema elettorale che non ha garantito governabilità, come si immaginava. Molte forze politiche hanno indicato il proporzionale come strada da seguire. Il tempo c’è per lavorarci, ma è chiaro che tale percorso non lo si può intraprendere senza la disponibilità anche del centrodestra. Allo stesso modo, è del tutto evidente che non ci si possa muovere sull’onda del risultato delle recenti amministrative, ma credo che queste ultime possano portare a una riflessione pure nello schieramento avversario.