Primarie Pd: più poltrone che iscritti, il brand dei Dem è ormai logoro?

L'emorragia dei consensi continua: i Dem crollano al 15,8%. Nonostante il record negativo, il cambio di simbolo è un tabù

L'opinione di Lorenzo Zacchetti
Politica

Iscrizioni e consensi a picco, ma il congresso continua a ruotare solo sui nomi

“Ormai il Pd ha più poltrone che elettori”. La battuta che da tempo circola sui Dem contiene un fondo di verità, a pensarci bene.

Proviamo a fare un conto. È noto che gli iscritti siano appena 50.000 in tutta l’Italia, mentre nel 2007 le primarie che elessero Veltroni primo segretario del neonato partito videro la partecipazione di ben 3.554.169 persone. Se è drasticamente calato il numero dei simpatizzanti, non si può certo dire lo stesso dei vari parlamentari europei, senatori, deputati, consiglieri regionali, provinciali, comunali di circoscrizione, assessori, sindaci, membri dei vari staff e rappresentanti nelle partecipate di ogni livello. Un conto preciso è impossibile: nei comuni sotto i 15.000 abitanti ci sono le liste uniche, fintamente “civiche”, e non tutti i prescelti per i vari ruoli fiduciari sono tesserati per il partito. Tuttavia, con un’iperbole nemmeno eccessiva si può dire che i “poltronati” superano i comuni elettori. O comunque siamo lì.

Il crollo della fiducia nei confronti del Pd è sotto gli occhi di tutti. Sembra passata un’era geologica, ma lo scorso agosto il partito guidato da Letta contendeva a FdI il primato nei sondaggi, mentre oggi la media dei sondaggi di Termometro Politico sottolinea il nuovo record negativo, con un misero 15,8% dei consensi. Mai era stato così in basso. Si tratta di un vero e proprio dramma, che certamente è stato aggravato dalla folle scelta di far svolgere il congresso a ben cinque mesi dal tracollo delle ultime elezioni politiche, il cui risultato avrebbe dovuto invece rappresentare un allarme rosso e sollecitare interventi d’urgenza.

Ha ragione Bonaccini nel dire che “chiunque diventi segretario non avrà davanti momenti facili, ci sarà da lottare”, ma lo capisce anche il più distratto degli osservatori che si tratta di un dolce eufemismo. Eppure, sia lui che quasi tutti coloro che hanno preso una posizione in merito sostengono che il simbolo del Pd non vada modificato. Certo, se in questo fantomatico congresso “costituente” ci si occupasse ogni tanto anche di argomenti politici – e non solo di nomi e alleanze – allora sul tema si potrebbe anche aprire un’interessante discussione.

Nel qual caso, si potrebbe notare che il tracollo del 25 settembre è stato l’ultimo e il più doloroso, ma non certo il primo. Tutti ricordano il precedente del 2018, quando sembrava di aver toccato il fondo, e prima ancora il referendum-suicidio di Renzi. Ma non basta: da che esiste il Pd, con il suo simbolo così evidentemente ispirato a quello di Forza Italia, nessuna elezione politica ha mai visto una sua vittoria, nemmeno per sbaglio. Squadra che non vince mai... non si cambia.

Gli “amici e compagni” che con così evidente fatica si sono sforzati di procedere insieme in questi 15 anni dovrebbero davvero chiedersi se gli obiettivi del Lingotto siano ancora attuali o se invece non serva un riposizionamento radicale. Non facendo questo, se non nel più assoluto segreto di qualche caminetto, non stupisce che non si discuta nemmeno del fatto che il brand Pd possa essere logoro, visto che si porta dietro un carico di sfiducia e delusione che ormai si taglia col coltello. 
 

 


 
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