Primo maggio fra i più amari di sempre. Milioni non garantiti da nessuno
Sappiamo bene da dove siamo partiti ma non abbiamo nessuna idea né dove stiamo andando, né tanto meno dove arriveremo. Si naviga a vista
Primo Maggio. La lunga marcia che ha cambiato passo
È una marcia lunga due secoli quella percorsa dai lavoratori che si sono battuti per il rispetto del lavoro e della loro dignità. È iniziata nel corso della rivoluzione industriale americana, a partire dal 1866, anno in cui, nello stato dell’Illinois, viene approvata la prima legge delle otto ore lavorative giornaliere, entrata in vigore il 1° maggio dell’anno seguente. Questa legge è alla base delle più importanti, e a tratti drammatiche, manifestazioni e conquiste operaie, fin dal 1886. Quell’anno, il 1° maggio, in occasione del 19° anniversario della sua entrata in vigore, la Federation of Organized Trades and Labour Unions decide di farlo coincidere con il giorno di scadenza limite per estendere tale legge in tutto il territorio americano, pena l'astensione dal lavoro, con uno sciopero generale a oltranza. All’iniziativa aderiscono gli operai di Chicago, in particolare quelli della fabbrica di mietitrici McCormick. La polizia, chiamata a reprimere l'assembramento, spara sui manifestanti inermi, uccidendone due e ferendone molti altri. Per protestare contro la brutalità delle forze dell'ordine, gli anarchici locali organizzano una contro manifestazione da tenersi nell'Haymarket Square, la piazza che normalmente ospita il mercato delle macchine agricole. Per le vie della città si scatena una guerriglia urbana che culmina, pochi giorni dopo, con il lancio - da parte degli operai asserragliati - di una bomba fatta di dinamite che uccide 6 poliziotti e ferisce oltre cinquanta persone.
La reazione delle forze dell’ordine è altrettanto sanguinosa; non molto dissimile da quella che a Milano, l’8 maggio 1898, il generale Bava Beccaris scatena contro una massa disarmata e pacifica di uomini, donne, vecchi e bambini, colpevole di aver osato protestare contro il raddoppio del grano (da 35 a 60 centesimi al kg), e di conseguenza del pane, deciso dal Regno d’Italia.
In un caso e nell’altro, il numero delle vittime non è mai stato stabilito. A Milano si stima siano state 80, la maggior parte donne e bambini. Centinaia i feriti, migliaia gli arresti.
Per quel massacro Fiorenzo Bava Beccaris riceve la Croce di Grande Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia, accompagnata da un telegramma di congratulazioni di re Umberto I. Per le grandi masse di lavoratori, invece, Bava Beccaris diventa “il macellaio di Milano”, l'uomo che col piombo, invece che col lavoro e col pane, ha sfamato gli affamati.
Questi fatti sono all’origine sia dell’assassinio di re Umberto I due anni dopo, sia di un dipinto considerato una pietra miliare nella storia dell’arte e nella rappresentazione della società: Il Quarto Stato, di Pellizza da Volpedo.
Per dirla con le parole dell’artista, per la prima volta veniva data forma al “più grande manifesto che il proletariato italiano possa vantare fra l'Otto e il Novecento”.
Il primo bozzetto, datato 1891, porta il titolo profetico di Ambasciatori della fame, poi cambiato nel 1895 in Fiumana, per arrivare a quello definitivo nel 1898, deciso in seguito al massacro di Milano.
Quest’opera ha dato voce e forma a una classe emergente, il proletariato, che mai prima di allora era stata rappresentata. Meglio di qualunque proclama, afferma un diritto universale, quello del lavoro, e ha una carica innovativa dirompente. Come dirompente è la forza sprigionata da questo fiume di lavoratori che sembra avanzare, lento ma inesorabile, come un corso d’acqua. C’è poi un altro elemento rivoluzionario, aggiunto nei bozzetti e nelle varie prove eseguite fra il 1895 e il 1898: la figura femminile con il bimbo in braccio. Una Madonna laica, unica nel suo genere, discendente diretta delle Madonne del popolo raffigurate da Caravaggio, solo all’apparenza in posizione subalterna. In verità questa donna è uno dei tre fuochi della scena e incarna un ruolo da protagonista, novella allegoria di tutta l’umanità.
Eppure, come Caravaggio, anche Pellizza non si vide mai riconoscere il valore dell’opera che, con tanta fatica e tormento, aveva creato. Solo molti anni dopo la sua morte Il Quarto Stato è stato eletto simbolo di tutto il Novecento. Acquistato dal Comune di Milano nel 1921 per la modica somma di cinquemila lire, da allora fa parte del patrimonio della Galleria d’Arte Moderna, dove è esposto.
La potenza di quel fermo immagine stride con la fragilità del nostro presente. E questo 1° maggio è fra i più amari di sempre: qualche milione di italiani non è garantito da nessuno; molti, e non solo giovani, sono senza lavoro o l’hanno perso. I tre anni di pandemia hanno amplificato le incertezze, eroso le tutele e acuito le disuguaglianze. E le previsioni a breve sono tutt’altro che rosee.
Occorre riflettere sul cambio di paradigma incontro al quale stiamo andando, e con il quale siamo chiamati a misurarci. È necessario un cambio di passo, una presa di coscienza, una conversione, per dirla con le parole del Papa, soprattutto da parte della classe dirigente e di chi riveste ruoli di governo e di comando. È chiaro a tutti che non si può più continuare a ragione solo in termini di crescita economica illimitata in un mondo di risorse limitate. Viviamo in una società alle dipendenze dell’economia, quando in realtà dovrebbe essere il contrario: l’economia dovrebbe essere al servizio della società.
La vera sfida, in un mondo sempre più squilibrato, che vede il 10% di popolazione più ricca del pianeta possedere il 76% della ricchezza e il 52% del reddito, mentre il 50% più povero possiede solo il 2% della ricchezza e l'8% del reddito – è passare da una società dei consumi a una società dell’equa distribuzione delle risorse. Dall’economia della crescita all’economia del benessere, con al centro le persone, il lavoro e l’ambiente.
Sappiamo bene da dove siamo partiti ma non abbiamo nessuna idea né dove stiamo andando, né tanto meno dove arriveremo. Si naviga a vista. La differenza la faranno i punti di riferimento che sceglieremo per proseguire il viaggio.
Da quelli, e solo da quelli, dipenderà il nostro futuro e quello del mondo che verrà.