Quirinale: Cartabia, il prezzemolino indigesto ai Cinque stelle

Cattolica, quell’assenza non casuale al meeting di Cl. La donna con più possibilità di salire al Colle

di Paola Alagia
Marta Cartabia
Lapresse
Politica
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Più si avvicina la scadenza del settennato di Sergio Mattarella e più s’ingrossa la lista dei papabili per prendere il suo posto. Sempre che, alla fine, Mattarella non succeda a se stesso. Ipotesi dell’irrealtà, almeno stando alle posizioni più volte espresse in proposito dal Capo dello Stato, ma che tuttavia potrebbe diventare possibile di fronte a una richiesta unanime del Parlamento. Comunque sia, di exit strategy nei capannelli di Palazzo se ne valutano diverse, qualora non ci fosse spazio per il piano A (di un Mattarella bis, appunto) e neppure per il piano B (un trasloco di Mario Draghi da Palazzo Chigi al Quirinale). 

I quirinabili, al momento, sono in maggioranza uomini - si va da Pierferdinando Casini a Romano Prodi, da Paolo Gentiloni a Giuliano Amato, fino a Silvio Berlusconi -. Ma fa capolino pure il nome di qualche donna. Una di queste è proprio l’attuale ministro della Giustizia Marta Cartabia.

Classe 1963, una vita da giurista, è da un po’ di anni in realtà che la prof viene candidata a rivestire ruoli politici. Si era pensato a lei come presidente del Consiglio, per esempio, già dopo la caduta del governo Conte uno. E poi anche con la crisi del Conte due. Fino a che Mario Draghi non l’ha chiamata nella sua squadra alla guida del dicastero di via Arenula. Una richiesta che qualcuno sottovoce insinua sia nata proprio dall’intento dell’ex numero uno della Bce di liberarsi di una competitor nella corsa al Colle. Sta di fatto che ora il suo nome c’è eccome in lizza.

Quante possibilità reali abbia al momento è una matassa difficile da districare. I giochi politici e i veti incrociati di cui è lastricata la strada verso il Quirinale ancora sono abbastanza insondabili. Se alla fine la scelta dovesse ricadere su di lei, la costituzionalista di San Giorgio su Legnano (Milano) nel giro di pochi anni farebbe l’en plein di primati. Professore ordinario di Diritto costituzionale, nel settembre 2011 viene nominata dal presidente della Repubblica giudice della Corte costituzionale, nel novembre 2014 ne diventa vicepresidente e nel dicembre 2019 (fino a settembre dello scorso anno) presidente. La prima donna a rivestire tale incarico, dopo ben 45 presidenti uomini. La sua carriera accademica, come si legge sul sito istituzionale della Consulta, è stata segnata sin dagli esordi da un'intensa attività di ricerca in ambito costituzionalistico con uno spiccato respiro europeo ed internazionale. Ha conseguito il PhD presso l'Istituto Universitario Europeo di Fiesole (1993), essendo stata, nel frattempo, Research Scholar presso la Michigan Law School (Ann Arbor, Usa, 1991). Ha insegnato presso numerose università italiane ed è stata Visiting Professor in Francia, Spagna, Germania e Stati Uniti.
Non solo, ma la giurista lombarda dal 2013, è invitata ogni anno al seminario Global Constitutionalism, parte del Gruber Program for Global Justice and Women's Rights organizzato dalla Law School di Yale (USA). Tra il 2008 e il 2010, è stata componente di Fralex  ("Fundamental Rights Agency Legal Experts") presso l'Agenzia dei diritti fondamentali dell'Unione europea a Vienna, in qualità di esperto giuridico per l'Italia. Inoltre, dal dicembre 2017 è membro della Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto. Tra le altre cose, nel 2009 ha co-fondato la prima rivista italiana di diritto pubblico in lingua inglese, l'Italian Journal of Public Law. Per tacere della sua bibliografia che annovera oltre 230 pubblicazioni in diverse lingue tra libri, capitoli di libri e articoli.

Tutto il suo curriculum, a cominciare dal profilo di giudice costituzionale - che l’accomuna, tra l’altro, a Mattarella - da questo punto di vista, gioca a suo favore. Solo che titoli e ruoli ricoperti, pubblicazioni e incarichi non bastano. Per vincere la partita del Quirinale bisogna mettere d’accordo le forze politiche e qui iniziano le grane per Cartabia.
L’allieva di Valerio Onida in questi otto mesi da ministro si è per prima cosa giocata l’appoggio del M5s. E l’aver smantellato (non tutta, ma buona parte) della riforma targata Bonafede sulla prescrizione è solo la ciliegina sulla torta di un rapporto che già si era incrinato durante il Conte due. Galeotte le sue posizioni all’epoca del lockdown e dei Dpcm. Da presidente della Consulta, infatti, sottolineò che “la Costituzione non contempla un diritto speciale per i tempi eccezionali, ma offre la bussola per ‘navigare’ nei tempi di crisi”. Parole subito cavalcate da Matteo Renzi e da Fratelli d’Italia, ma che dalle parti di Palazzo Chigi, dove sedeva appunto l’avvocato del popolo, non furono prese benissimo.
Guardando al pallottoliere, inutile sottolineare invece che, per ragioni esattamente opposte, nello scontro tra garantisti e giustizialisti, la prof Cartabia ha guadagnato il placet sia dei renziani che di Forza Italia.

Certo, anche il pestaggio dei detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere e l’equilibrismo del ministro nel riferire in Aula il 21 luglio scorso, hanno fatto storcere il naso a molti. L’indole a smussare e la volontà di non scontentare nessuno si risolse alla fine soltanto in un ecumenico invito a riflettere “sulla contingenza e sulle cause profonde che hanno portato un anno fa a un uso così smisurato e insensato della forza”.

A proposito di ecumenismo, poi, c’è un altro fattore chiave nella vita del ministro che entra in gioco e cioè la sua vicinanza a Comunione e liberazione. Un’etichetta che, però, forse a riprova di una neanche tanto latente ambizione personale al Colle, la giudice costituzionale cerca di nascondere. Sarà per questo che quest’anno Cartabia, donna cattolica e con un passato di militanza alle spalle nel movimento fondato da Don Giussani, non ha preso parte al noto meeting ciellino?
C’è da dire, infine, che pure l’agenda del Parlamento rischia di mettersi di traverso, essendo caldissime in questo momento proprio le questioni sui diritti civili. Temi che possono diventare scivolosi per lady Marta. Il ddl Zan sull’omotransfobia è stato appena affossato in Senato, ma ai nastri di partenza - l’approdo in Aula alla Camera, salvo nuovi slittamenti, è previsto il prossimo 22 novembre – c’è anche la legge sul fine vita. Per fortuna sua, di pareri sul provvedimento dal Governo non ne sono arrivati. Tuttavia, rimangono agli atti le posizioni passate, precedenti la nomina alla Consulta. Su Sussidiario.net c’è ancora traccia di un suo editoriale del 17 novembre 2008, in merito al caso di Eluana Englaro, dal titolo: “Quell’arbitrio che pretende di giudicare il mistero della vita”. Un articolo che si conclude con un netto affondo: “Se anziché cimentarsi con un improbabile conflitto di attribuzione, il cui esito era fin troppo facile pronosticare, le Camere avessero speso le loro energie per fissare alcuni contorni ai problemi giuridici sulla fine della vita, forse oggi non saremmo di fronte a questo triste epilogo”, scriveva Cartabia. Prima di concludere: “Un verdetto che riguarda anche ciascuno di noi che assistiamo impotenti alla fine di una vita”.  

Febbraio, comunque, è ancora relativamente lontano. Chissà se la costituzionalista riuscirà alla fine a rompere un altro “vetro di cristallo”, per citare l’espressione che utilizzò a commento della sua elezione alla presidenza della Consulta. Nel frattempo, la sua foto andrà sicuramente nella galleria degli inquilini di via Arenula. Così come dal 10 settembre 2020 campeggia a Montecitorio, accanto al ritratto di Nilde Iotti e di tutte le donne, a partire dalle costituenti, che hanno fatto la storia della Repubblica.