Reddito di cittadinanza e patrimoniale: la redistribuzione nel post-Covid
La crisi pandemica ha fatto crescere una nuova sensibilità nei confronti di un Welfare che necessariamente va finanziato attingendo ai patrimoni dei più ricchi
Imposta patrimoniale e Reddito di Cittadinanza: due strade diverse, ma che puntano agli stessi obiettivi di redistribuzione della ricchezza, resa ancora più necessaria dalla pandemia di Covid-19
“Tassate i ricchi, me compresa”. Un tweet dell’attrice Susan Sarandon, non nuova a prese di posizione di stampo progressista, riaccende il dibattito sull’introduzione di una patrimoniale negli Stati Uniti.
“Non sono una milionaria, ma PER FAVORE tassatemi fino all’osso se questo significa assistenza medica per tutti, rette universitarie per tutti e la possibilità di vivere una vita dignitosa. Oh, e anche ridurre il budget militare e tassare le chiese non farebbe male…”, scrive su Twitter la protagonista di “Dead Man Walking”, sostenitrice di Bernie Sanders. Il suo post si chiude con l’hashtag #TaxTheRich, “tassate i ricchi”, che sta accompagnando questa campagna di opinione.
COSI’ BIDEN VUOLE “LIVELLARE IL CAMPO”
Anche il Presidente USA Joe Biden è stato molto chiaro sulla necessità di una Patrimoniale che “livelli il campo di gioco”, eliminando o quantomeno limitando le diseguaglianze tra chi ha più risorse e chi invece naviga sulla soglia della povertà. Dopo che i livelli di occupazione registrati ad agosto negli USA hanno deluso le attese, l’inquilino della Casa Bianca ha prospettato nuovi investimenti su questo fronte, ma con fonti molto mirate: “Li faremo senza alzare le tasse di un solo cent su chiunque guadagni meno di 400.000 dollari all’anno”. Ma cosa intende Biden con “livellamento”?: “I superricchi saranno sempre in grado di possedere tre case, ma la gente normale non verrà spennata”, ha spiegato, delineando un aumento delle tasse sulle aziende dal 21% al 28%.
LA PATRIMONIALE NEL RESTO DEL MONDO
La stessa discussione è in corso nel vicino Canada, unico Paese del G7 a non tassare le successioni, dove Forbes stima che tra gennaio e aprile dell’anno in corso i più abbienti abbiamo aumentato la propria ricchezza di ben 78 miliardi di dollari. Un dato impressionante, soprattutto se raffrontato a quelli ai posti di lavoro persi nel 2020 a causa della pandemia: quasi tutti erano di lavoratori pagati sotto la media: i cosiddetti “working poor”, che ora sono solo “poor”.
La forbice della diseguaglianza sociale si sta ampliando in maniera evidente e l’Europa non fa certo eccezione. In Germania, ha iniziato di parlare di Patrimoniale anche la SPD, nel contesto di un ritorno ai valori più tradizionali della sinistra progressista, che sta pagando dal punto di vista dei sondaggi. E anche i Verdi, che sullo scenario teutonico hanno la loro importanza, si sono allineati. In Inghilterra i laburisti fanno pressione sul leader Keir Starmer affinché si renda protagonista di una proposta di rilancio del Welfare finanziata proprio dalla tassazione dei grandi capitali.
L’ITALIA CHE DICE “TAX THE RICH”
In Italia la questione della redistribuzione non è certo meno sentita, ma viene affrontata in modo diverso. Chi parla di Patrimoniale con maggior convinzione è Nicola Fratoianni, che peraltro sta trovando delle sponde anche nella sinistra del Pd: i “Giovani Turchi” di Matteo Orfini hanno infatti deciso di sottoscrivere la proposta di iniziativa popolare lanciata di Sinistra Italiana. Una proposta che, spiega Fratoianni, “parte dalla presa d’atto che l’Italia è il Paese europeo in cui si è più ristretta la quota di ricchezza posseduta dal 50% più povero della popolazione, crollata dell’80%, mentre è esplosa, triplicata, quella nelle mani dello 0,1% più ricco”. Per “livellare il campo”, come direbbe Biden, si pensa di eliminare le imposte patrimoniali sulle persone fisiche (come l’Imu) e introdurre un’imposta unica e progressiva, con franchigia di 500.000 euro. Sulla linea “Tax the rich” si è schierata anche Possibile di Pippo Civati, che con la sua casa editrice “People” ha recentemente pubblicato un libro che ha proprio questo titolo. Lo ha scritto a quattro mani con Davide Serafini.
LA BATTAGLIA SUL REDDITO DI CITTADINANZA
Tuttavia, come dicevamo, in Italia l’argomento-clou in tema di redistribuzione non è la Patrimoniale, almeno per il mainstream. Tutti i fari sono invece puntati sul Reddito di Cittadinanza, come dimostrano le accese discussioni delle ultime settimane. I suoi detrattori, come Giorgia Meloni, lo hanno persino paragonato al metadone, suscitando reazioni molto piccate da parte di chi invece sostiene la misura. Per questi ultimi, si tratta di un provvedimento di dignità, che non dovrebbe essere etichettato come “di sinistra” o “di destra”: in realtà un aspetto chiaramente progressista ce l’ha, ma il comprensibile tentativo è di toglierlo dal novero dei temi divisivi, facendo appello alla tradizione della destra sociale.
Da qualunque parte lo si guardi, il Reddito di Cittadinanza non può essere giudicato per le storture nella sua applicazione, per quanto evidenti. È corretto rilevare aspetti problematici, come il fatto che venga assegnato a chi lavora in nero o che preveda lo stesso introito di chi invece lavora regolarmente, ma malpagato. Sarebbe però assurdo prendersela con il sostegno per chi ne ha davvero bisogno, invece che combattere il sommerso e promuovere il salario minimo per chi vuole lavorare in regola e pagare le tasse.
SCELTE DI CAMPO NEL NUOVO SCENARIO POST-COVID
Le tasse, appunto. Tutto gira intorno a questo e tra chi non vede l’ora di pagarle non ci sono solo radical chic che si possono permettere questi discorsi. La pandemia di Covid ci ha insegnato molte cose, tra le quali la necessità di superare un individualismo scarsamente lungimirante. Per farla molto semplice, il modo migliore per prevenire i contagi è pensare non solo alla propria salute, ma anche a quella del prossimo, sia esso il vicino di casa o chi abita in un Paese dove ancora i vaccini non stanno circolando. Ben venga la rinuncia a una parte della ricchezza, se ciò evita di dover rinunciare alla salute. E come finanziare un Welfare più estensivo in termini di prestazioni e di copertura del territorio, se non attingendo alle tasche dei più ricchi?
Certo, in Italia questi discorsi fanno più fatica ad attecchire, ma non solo per la nostra atavica insofferenza verso una pressione fiscale spesso annichilente. C’è anche una motivazione culturale più nobile: siamo ormai felicemente abituati a poter contare sul nostro Sistema Sanitario universalistico, per cui è logico che si pensi a mettere più soldi nelle tasche dei cittadini con il vituperato Reddito di Cittadinanza. Al contrario, negli Stati Uniti che hanno visto sfumare il sogno dell’Obamacare si punta a potenziare l’offerta di servizi pubblici. Ma il nucleo di fondo è lo stesso, perché tutti questi interventi non possono che essere finanziati attraverso metodi redistributivi.