Bonaccini: prima il Pd e poi l'Europa. Al suo posto? E' già pronta Priolo

Il cavillo consentirà alla vice di Bonaccini, Irene Priolo, di “rianimare” l’assemblea regionale dallo scioglimento previsto in caso di abbandono anticipato

Politica

L'Emilia-Romagna cambia le regole. La voce: "Bonaccini si candiderà alle Europee del 2024"

Spunta un nuovo salva-legislatura fra le Regioni italiane. Dopo la Puglia, questa volta è il turno del Consiglio regionale dell’Emilia Romagna. Era passato sotto silenzio il provvedimento del 27 maggio 2022, specificatamente nel cavillo che disciplina la sostituzione del governatore Stefano Bonaccini, qualora dovesse dimettersi prima della fine del mandato. 

In precedenza, la normativa prevedeva che entrasse in vigore una "Commissione di Garanzia Statutaria" formata da tre persone. Tuttavia, quando Vasco Errani si dimise per le note vicende legali (dalle quali poi è risultato estraneo), la triade, spiegano dagli uffici della Regione ad affaritaliani.it, si trovò in oggettive difficoltà perchè non conosceva bene la realtà amministrativa. Da qui, la decisione di rimpiazzare il presidente, se si dimette, con il suo vice, il quale ne assume i pieni poteri e certamente saprà come utilizzarli. Il vice non resterà in carica senza termine, ma per un periodo prestabilito, che in effetti allunga leggermente il mandato, ma in maniera poco significa: la data delle elezioni, difatti, viene stabilita dal presidente della Regione di concerto con il Prefetto e quindi, sostanzialmente, quando ritenuto più opportuno.

La lettura politica, però, è differente. Siccome si rincorrono le voci sul fatto che Bonaccini, dopo aver conquistato la segreteria del Pd, voglia candidarsi alle Europee del 2024, la scelta pare una designazione ipso facto per la sua vice Irene Priolo. Subentrata a Elly Schlein sarà lei a subentare al presidente in caso di abbandono anticipato. Priolo, dunque, potrà continuare a reggere le sorti dell’Emilia Romagna dai nove ai dodici mesi (il voto deve svolgersi tra il 15 aprile e il 15 giugno) assicurando lo scranno agli eletti e, ovviamente, i ricchi stipendi mensili.

Nel caso emiliano, tuttavia, non ci sono scontenti, come in Puglia dove il sindaco Decaro s’è visto scompaginare da un giorno all’altro i piani di election day nel 2024 con la chiusura dell’esperienza al comune di Bari e la promessa di una corsa a stretto giro alle regionali. Sogni saltati a causa del salva legislatura che ha incrinato i rapporti fra il presidente Anci e il governatore pugliese da molti indicato come l’ispiratore del “barbatrucco” per allungare la legislatura.

Gli effetti pratici del dissidio si sono materializzati nelle scorse settimane. Decaro, per esempio, sta minacciando a più riprese di volersi candidare alle Europee, stessa scelta di Emiliano, senza chiarire se resta in piedi l’opzione di correre anche per le regionali nel 2025 e, nel caso, la scelta fra i due ruoli ovviamente in caso di elezioni.

Così come Emiliano punta a consolidare l’asse con i Cinque Stelle e il leader Conte mentre Decaro resta in silenzio, condizionato dal suo rapporto con Matteo Renzi e il Terzo Polo. Divergenze di vedute che mettono un’ipoteca non di poco conto sulla costruzione della coalizione di centrosinistra alle regionali del 2025 con lo scenario tutt’altro che remoto di una scissione. Emiliano, le civiche e i grillini da una parte, Decaro, Terzo Polo e civiche decariane dall’altro.

A complicare il quadro c’è poi il terzo mandato del presidente Emiliano. A settembre scorso lo stesso Emiliano lo escluse a priori “promuovendo” Decaro a suo successore. Ma da qualche giorno quella scelta sembra di nuovo in discussione. A livello nazionale, infatti, si starebbe creando una convergenza di interessi fra i governatori con doppio mandato a caccia del terzo, e fra questi Bonaccini, De Luca, Toti e Zaia giunto addirittura al terzo con la voglia del quarto.

Un gruppo di pressione che potrebbe spingere per la modifica della legge nazionale in materia spianando la strada a una ulteriore candidatura nelle rispettive regioni. Sarà così? La risposta è attesa nei prossimi giorni.

 

Intanto nel Pd si litiga anche sul manifesto dei valori

Si dovrebbe riunire domani, 18 gennaio, il Comitato Costituente del Pd per esaminare il documento del Manifesto dei Valori, così come uscito dal percorso avviato da Enrico Letta ad ottobre. Rimane da decidere se portare il testo in assemblea nel fine settimana: fonti del Partito Democratico, infatti, avvertono il rischio che il testo, frutto di un lungo confronto fra le diverse sensibilità presenti nel Pd, possa portare a una spaccatura in assemblea per mano di chi vi potrebbe leggere un tentativo di mettere da parte i valori fondanti del Pd così come erano stati enunciati dal manifesto del 2018. Dal Nazareno non trapela nulla, ma chi ha parlato con il segretario riferisce all'AGI che Letta “sottolinea il lavoro intenso e approfondito” che ha portato al manifesto dei valori. Non è escluso, inoltre, che il testo possa essere posto all’esame della Commissione Congressuale di Garanzia appena istituita. Chi ha avuto modo di vedere il documento parla di contenuti “niente affatto divisivi o abrasivi”.
 

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