Riforme, tavolo già fallito. Sarà referendum (su Meloni e sul governo). Inside

Il Pd chiude anche all'elezione diretta del presidente del Consiglio

Di Alberto Maggi
Politica

Riforme, non ci saranno i 2/3 in Parlamento. Scontato il referendum confermativo, come quello che mandò a casa Renzi nel 2016

Il tavolo sulle riforme tra maggioranza e opposizione è già morto prima ancora di nascere. Alla vigilia dell'atteso incontro tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein, dal Partito Democratico filtra il no sia all'elezione diretta del presidente della Repubblica ma anche all'elezione diretta del premier. Questa mattina si è tenuto il confronto fra la segretaria Dem e i componenti delle commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato in vista dell'incontro di domani a Montecitorio con la presidente del Consiglio.

La posizione del Pd è quella del cancellierato tedesco, con un pacchetto di norme che comprende anche la sfiducia costruttiva. Il sospetto dei Dem è che al fondo della convocazione delle opposizioni ci sia la volontà dell'esecutivo di alzare una cortina di fumo sui dossier più impellenti e delicati per la maggioranza, dal Pnrr alla sanità, passando per i temi del lavoro e alcuni dossier internazionali. Fra questi, anche l'elezione del prossimo segretario Nato. Insomma, quello che i Dem temono è che quello delle riforme sia solo una operazione di distrazione di massa da parte della maggioranza per nascondere le proprie difficoltà.

Con queste condizioni, considerando che anche il M5S è contrario all'elezione diretta, non ci sono le condizioni per un dialogo vero. Per Fratelli d'Italia e per Meloni l'ipotesi A è quella dell'elezione diretta del presidente della Repubblica, che vedrebbe anche aumentati i propri poteri sul modello francese. Ma Forza Italia e la Lega (che punta tutto sull'autonomia regionale ma resta fedele al patto di maggioranza) preferiscono l'elezione diretta del presidente del Consiglio. Punto sul quale ci sarebbe - secondo quanto risulta ad Affaritaliani.it - il via libera dell'ex Terzo Polo, sia Azione sia Italia Viva.



Ma il Centrodestra insieme a Calenda e Renzi non hanno i numeri per arrivare ai due terzi che servono in caso di riforme istituzionali per evitare il ricorso al referendum confermativo (come accadde con Matteo Renzi premier, che, con una pesante sconfitta fu costretto alle dimissioni nel 2016). L'intesa tra Centrodestra ed ex Terzo Polo c'è anche sul superamento del bicameralismo perfetto, ma con il Pd non sembrano proprio esserci i margini per una trattativa.

Antonio Tajani, vicepremier e numero due di Forza Italia, lo ha detto chiaramente: da un lato ha aperto all'elezione del premier (e non del Presidente) ma se è no a tutto allora si va avanti con i voti della sola maggioranza. Stessa posizione espressa dal ministro leghista Roberto Calderoli, che sta seguendo passo dopo passo il dossier dell'autonomia. In sostanza, salvo colpi di scena, si va verso il fallimento del tavolo sulle riforme tra Meloni e Schlein (ma anche Giuseppe Conte) e, di conseguenza, la maggioranza andrà avanti da sola, al limite cercando un'intesa con Azione e Italia Viva.

Ma alla fine dell'iter sarà inevitabile il referendum confermativo, che potrebbe diventare - come accadde con Renzi - un referendum sulla stessa Meloni e sul governo intero.

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