Russia, colpo di Stato contro Putin. Voci insistenti. Chi lo 'farà fuori'
Russia, colpo di Stato contro Putin. Voci insistenti. Il dietro le quinte del potere del Cremlino
Russia l'élite russa non può più fare la bella vita dell'Occidente
L'invasione russa dell'Ucraina vede un costante aumento delle vittime civili, oltre 2 milioni di rifugiati in fuga e un numero incalcolabile di sfollati interni. Intanto cresce la consapevolezza tra i politici occidentali che il modo più rapido per porre fine a questa guerra è che il presidente Vladimir Putin lasci il suo incarico, e molto probabilmente non di sua spontanea volontà.
Sebbene nessun governo occidentale persegua apertamente una politica di cambio di regime a Mosca, tutti sperano che le sanzioni economiche incoraggino i russi a cacciare Putin dal Cremlino. Il che fa sorgere una domanda: Putin è a prova di colpo di stato? Ci sono tutta una serie di circostanze che potrebbero indurre un cambio di potere a Mosca.
Le ragioni per cui Putin ha iniziato la guerra rimangono imperscrutabili, scrive in un editoriale il Washington Post. Qualunque altra cosa possa ottenere, questa guerra renderà la Russia più povera e meno sicura, avvicinerà la NATO ai suoi confini - piuttosto che respingerla - e rafforzerà la determinazione dei governi di tutto l'ex impero sovietivo a cercare protezione dalle potenze ostili a Mosca. Ma il conflitto in Ucraina sta anche rimodellando radicalmente la struttura del potere nella stessa Russia, in modi che potrebbero consolidare l'autorità di Putin negli anni a venire, o forse far crollare il suo regime.
Se il presidente avrà successo, invece di una classe ampia e litigiosa di russi ricchi e potenti che mantengono almeno alcuni legami con l'Europa e gli Stati Uniti, i leader occidentali saranno lasciati a occuparsi di Putin e dei suoi uomini della sicurezza, un gruppo su cui Washington, Londra e Bruxelles hanno una leva notevolmente inferiore. Questa sarà una Russia libera e ancora più imprevedibile, e molto probabilmente molto più tirannica, poiché lo stato rivendica un controllo sempre maggiore sull'economia.
Putin ha mostrato irritazione per essere condizionato dalle élite del suo paese. Quando salì al potere per la prima volta nel 2000, la sua capacità di governare, come quella di Boris Eltsin prima di lui, era gravemente limitata. Ha avuto a che fare con magnati dei media e oligarchi, politici e funzionari - persone che non erano solo egoistiche ma abbastanza potenti da cercare di imporre i propri programmi al Cremlino. Per rimediare a questa situazione, Putin ha offerto all'élite russa un patto: potrebbero essere favolosamente ricchi e del tutto irresponsabili nei confronti del pubblico se accettassero di non usare la loro leva per impedire a Putin di fare ciò che riteneva opportuno.
Questo patto dura da quasi 20 anni. Chiunque l'abbia sfidato - come il magnate dei media Vladimir Gusinsky, gli oligarchi Boris Berezovsky e Mikhail Khodorkovsky, o l'ex sindaco di Mosca Yuri Luzhkov - si è rapidamente trovato in prigione o in esilio. Altri hanno avuto accesso ai bilanci federali, regionali e municipali e alle risorse delle società statali, dalla Gazprom alle ferrovie all'agenzia dei mutui, che sono stati tutti incoraggiati a dirigere i fondi in direzioni politicamente convenienti.
Sebbene l'élite non abbia mai realmente posseduto i beni che hanno generato la loro enorme ricchezza in Russia, è stato permesso loro di parcheggiare i proventi all'estero, dove potevano investirli vivendo nel lusso. Nel frattempo, il ruolo di Putin era quello di mantenere il flusso di denaro, di gestire i conflitti tra interessi in competizione e di essere il volto pubblico di un sistema che non aveva a cuore l'interesse pubblico.
Questa situazione - prosegue Washington Post - è servita a entrambe le parti. Però negli ultimi dieci anni è stato difficile trovare qualcuno nell'élite russa che fosse particolarmente soddisfatto. Quando l'economia russa ha iniziato a vacillare nel 2014, Putin ha scoperto che non c'erano più abbastanza soldi nel sistema per mantenere felice la sua élite, e ha iniziato a dare la priorità a coloro su cui si basava veramente il suo governo: i servizi di sicurezza e i petrolieri, in primo luogo. Tutti gli altri sono stati invitati ad accontentarsi di uno status ridotto rispetto a prima.
Qualcuno ha borbottato, ma nessuno ha sfidato Putin. Il cambiamento politico avrebbe creato vincitori e vinti, con notevole incertezza su chi ne sarebbe uscito vincitore. Lo stesso Putin ha contribuito a rafforzare quel senso di rischio, dividendo gli interessi economici e politici l'uno contro l'altro e rendendo difficile la formazione di coalizioni. In risposta, l'élite ha nascosto quantità crescenti della propria ricchezza fuori dalla Russia, resistendo alle continue richieste di Putin di rimpatriare i propri soldi.
Quell'era ora è finita. La guerra di Putin - e le sanzioni imposte dall'Occidente - privano i clienti economici e politici di Putin della loro principale fonte di semi-autonomia: l'accesso all'Occidente come luogo sicuro per proteggere i loro soldi, le loro famiglie e la loro libertà. Quello che accadrà dopo deciderà il futuro della Russia.
Se Putin, con l'aiuto delle sanzioni occidentali, riuscisse a privare gli uomini che attualmente gestiscono le maggiori industrie, burocrazie e regioni del Paese dall'accesso all'Occidente, e soggioga i loro interessi a quelli dei servizi di sicurezza, si trasformerebbero in salariati e manager statali. Non più i protetti di un potente sistema politico, questa classe perderebbe il potere di controllare il proprio futuro. Se il senso di perdita sarà sufficientemente diffuso, dovremmo aspettarci una risposta. Non più paralizzate dalla paura del cambiamento, le élite russe potrebbero iniziare a vedere che senza il cambiamento al Cremlino perderanno tutti i loro vantaggi. Prima garantiva la loro prosperità, ora Putin garantirebbe solo la loro miseria.
Il presidente è consapevole di questa minaccia. Secondo quanto riferito, ministri, funzionari di alto livello e capi di grandi corporazioni avrebbero l'ordine di non dimettersi, pena l'arresto. Anche Elvira Nabiullina, il capo della banca centrale solitamente apolitica e tecnocratica, è stata costretta a fare una dichiarazione pubblica chiedendo al suo staff - e all'élite economica in generale - di "smettere di litigare sulla politica" e tornare al lavoro. Ma il problema di Putin è che questa guerra capovolge la strategia del divide et impera che gli era servita così bene. Fa perdere ogni membro dell'élite russa. Nessuno escluso.
Un colpo di stato in cui le élite sostengono un nuovo leader russo cercherebbero di ripristinare il sistema di cui godeva quella classe sociale prima che Putin si avviasse sulla strada della guerra contro Kiev. Restituire la Crimea all'Ucraina sarebbe fuori questione, ma il sostituto di Putin, chiunque esso sia, avrebbe un chiaro mandato di prendere qualsiasi misura porti alla fine delle sanzioni, ripristinare i legami economici con l'Occidente e utilizzare il controllo dello Stato sul media e sul sistema politico per spiegare ai cittadini russi quanto siano stati illusi da Putin. Gli osservatori occidentali dovrebbero però fare attenzione a non confondere un simile colpo di stato con una rivoluzione democratica. Continuerebbe, quasi inevitabilmente, ad essere un sistema corrotto e irresponsabile, sprezzante del popolo russo e legato alla cleptocrazia, ma almeno non alla guerra.
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