Giustizia e antimafia: c'è chi grida all'inganno. Il libro choc di Barbano

Il giornalista Alessandro Barbano dà alle stampe il libro denuncia sull'Antimafia: “Su 10 rinviati a giudizio 4 condanne”. Il giallo dei beni sotto sequestro”

di Patrizio J. Macci
Roma

Nel 2023 saranno trascorsi quarant’anni dall’arresto di Enzo Tortora, l’inizio della sua odissea giudiziaria. Dopo aver letto “L’inganno. Antimafia. Usi e soprusi dei professionisti del bene” (Marsilio editore) si ha l’impressione che nulla sia cambiato.

Anzi, la situazione sembra essere peggiorata.

Alessandro Barbano, la giustizia italiana somiglia sempre di più a un racconto kafkiano, è solo un’impressione?

“La situazione si è incancrenita, cronicizzata. Se si guarda in particolare al sud ci sono in media una percentuale di condanne del 40% rispetto al totale delle persone rinviate a giudizio spesso con accuse schiaccianti: far parte di organizzazioni criminali come la Mafia, la Camorra, la Ndrangheta o la Sacra corona unita. Parliamo di individui sbattuti sulle prime pagine dei giornali ai quali sono stati sottratte aziende, spogliati dei propri patrimoni, con i conti correnti bancari congelati. Devono attendere anni per avere giustizia almeno in parte, perché la dignità personale ne esce devastata. I numeri sono impietosi al riguardo”.

Quanti soldi ruotano intorno a questo mondo?

“Una montagna, centinai di milioni di euro. Nel pre pandemia vi erano 218.000 beni sottoposti a misure di prevenzione e 81.000 di questi erano stati confiscati”.

Misura di prevenzione, cioè in assenza della sentenza definitiva di un processo lo stato sequestra beni o soldi?

“Sono due cose distinte, la metto giù in maniera il più semplice possibile: mentre il processo penale cammina su un binario il sequestro procede e si può venire assolti e il bene rimanere sequestrato e affidato a un amministratore giudiziario. Con le dichiarazioni di un paio di pentiti prese qua e là e copiaincollate si può fare di tutto. Come fanno i cattivi studenti che hanno fretta di laurearsi”.

Ma le leggi antimafia nascevano in un contesto emergenziale, perché si continua a farne uso?

“L’Italia è un Paese unico, che continua a mantenere una struttura mostruosa divenuta per diversi aspetti autoreferenziale: si alimenta dei mostri che crea, se quelli che sbandierano il nome di Giovanni Falcone andassero a leggere le sue ultime dichiarazioni vedrebbero che aveva lanciato l’allarme lui per primo contro un uso indiscriminato delle confische e dei sequestri”.

In termini pratici cosa si dovrebbe fare, o meglio cosa dovrebbe fare la politica?

“Per indebolire questo potere senza freni, che ha tradito il compito assegnatogli dalla democrazia, bisogna revocare la delega che una politica miope ha fatto alla magistratura e che alcune procure hanno trasformato in una leva per mettere la società sotto tutela. Oggi più che mai è necessario tornare a un diritto penale basato su fatti e prove, estirpare il peccato originale del sospetto, definire univocamente il confine fra lecito e illecito. Solo così si può capire che cos’è la mafia. E combatterla davvero”.

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