Mancini appende le scarpette da Ct al chiodo: soldi e contratti non comprano una carriera. Finisce l'avventura in Arabia Saudita

Cacciato da Riad dopo i deludenti risultati. La storia con l’Arabia Saudita si chiude come tanti di quei progetti costruiti in fretta e furia solo per guadagnare milioni in più

di Marco Scotti
Roberto Mancini
Sport

Mancini lascia la nazionale saudita: la parabola di un allenatore ha sempre cercato scorciatoie verso il successo

È finita l’avventura di Mancini D’Arabia. L'ex-Ct dell'Italia, capace di vincere l'Europeo solo nel 2021, ma anche responsabile della clamorosa eliminazione dai Mondiali del Qatar che si sarebbero tenuti solo l'anno successivo, viene cacciato da Riad dopo risultati - eufemismo - deludenti. Una nuova macchia nella carriera di un allenatore che, a eccezione di Euro2020, ha raccolto molto meno di quello che ha seminato. Due scudetti (più uno "in segreteria") con un'Inter stellare; una Premier League all'ultimo secondo con il City degli sceicchi; un ritorno all'Inter tutt'altro che memorabile.

Perché qui non si parla di calcio, ma di personalità, di una carriera costruita a suon di scelte quantomeno discutibili e risultati mai davvero all’altezza delle aspettative. Mancini, con la sua boria e i suoi capelli impeccabili, è l’esempio vivente di quell’italiano che cerca fortuna all’estero senza fare i conti con il proprio passato. Perché diciamolo chiaramente: Mancini ha vinto, sì, ma quanto pesano davvero quei trofei?

Guardiamo i fatti. All’Inter ha sollevato tre scudetti - uno di questi assegnato a tavolino dopo Calciopoli - con una squadra che, almeno sulla carta, poteva permettersi di passeggiare sulla Serie A. Eppure, il Mancio non è riuscito a costruire un’eredità; i suoi trionfi sono rimasti isolati e dimenticati, troppo legati a quegli anni di caos calcistico italiano. In Premier League, con il Manchester City, ha sì regalato ai tifosi uno dei finali più memorabili della storia, ma anche lì è stato un lampo in una carriera inglese che ha presto perso slancio, finendo per diventare un nome tra tanti nel circo degli allenatori stranieri.

La parentesi azzurra merita un capitolo a sé. Mancini prende in mano una nazionale spenta e regala agli italiani un Europeo che nessuno si aspettava, e su questo nulla da dire: ha saputo giocare di astuzia e ha cavalcato l’onda di una squadra carica, forse fin troppo. Ma il risveglio è amaro: non solo non riesce a qualificarsi per i Mondiali in Qatar, ma la sua uscita di scena è imbarazzante. Una sconfitta con la Macedonia del Nord che brucia ancora. E qui, invece di assumersi le proprie responsabilità, cosa fa il Mancio? Volta le spalle al progetto e se ne va verso i soldi sauditi.

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La storia con l’Arabia Saudita si chiude, dunque, come tanti di quei progetti costruiti in fretta e furia solo per guadagnare milioni in più, senza il minimo senso di identità. È la parabola discendente di un allenatore che ha sempre cercato scorciatoie verso il successo, ma che alla fine viene travolto dai propri limiti. Se c’è una lezione da imparare dalla vicenda di Mancini, è che nel calcio - come nella vita - i soldi e i contratti dorati non comprano l’anima di una carriera. Il suo nome sarà ricordato, certo, ma non con quel rispetto che si riserva ai veri grandi del calcio italiano.

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