L'avvocato del cuore
Eredità alla badante e sospetto raggiro, si può impugnare un testamento?
"Gentile Avvocato, sono figlia unica e vivo da anni negli Stati Uniti. Mia madre è mancata ormai molti anni fa e in Italia rimaneva il mio unico affetto, il mio amato papà. Soffriva da anni di demenza senile ed essendo rimasto solo, gli avevo affiancato, già da qualche anno, una badante. Purtroppo, qualche settimana fa mio padre è venuto a mancare e, a sfregio dell’enorme e incolmabile tristezza, sono venuta a conoscenza di un testamento da lui redatto, con il quale lascia metà della sua eredità alla badante. Sospetto che lei l’abbia in qualche modo raggirato e convinto a farsi lasciare parte del suo patrimonio. Secondo lei posso impugnare il testamento?"
Cara Signora, molto spesso, purtroppo, alla triste perdita di un proprio caro, si associa l’amara scoperta di un’eredità mancata o, peggio, come Lei teme, di un raggiro subìto dal caro defunto. Il nostro ordinamento, attraverso due norme in particolare, fornisce tutela a chiunque ne abbia interesse, al fine di poter impugnare il testamento. La prima, è l’art. 591 c.c. che si riferisce ai testamenti redatti da soggetti che, “sebbene non interdetti, si provi essere stati, per qualsiasi causa, anche transitoria, incapaci di intendere e di volere nel momento in cui fecero testamento”.
La seconda, è l’art. 624 c.c., il quale stabilisce che “la disposizione testamentaria può essere impugnata da chiunque vi abbia interesse quando è l'effetto di errore, di violenza o di dolo”. Entrambe le azioni si prescrivono in 5 anni, nel primo caso a decorrere dal giorno nel quale è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie, nel secondo caso dal giorno nel quale si è avuta notizia del vizio. Passando in rassegna i repertori di giurisprudenza, sembra essere sempre più difficile invalidare una scheda testamentaria, essendo richieste prove rigorose del raggiro subìto dal testatore, o della sua incapacità di intendere e di volere.
Tuttavia, la fattispecie più ricorrente è proprio l’annullamento del testamento di quei soggetti che, a causa di una malattia o dell’età, hanno scritto di proprio pugno le ultime volontà in stato mentale alterato. Nella Sua situazione, Le suggerirei, in primo luogo, di provare a far valere la demenza senile della quale Suo padre soffriva, come incapacità di intendere e di volere, applicando l’art. 591 c.c. A questo proposito, l’orientamento della giurisprudenza è piuttosto rigoroso. La Corte di Cassazione sul punto ha stabilito che, per annullare il testamento, non basta una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche e intellettive del de cuius, ma occorre piuttosto dimostrare che, per via di “un’infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi” (Cass. Civ. n. 9508 del 6 maggio 2005).
Non è, perciò, sufficiente una riduzione della capacità, ma, al contrario, se ne pretende la radicale mancanza. Nello specifico, poi, i Giudici di merito hanno più volte chiarito i contorni della demenza senile, riconoscendone, da un lato, gli effetti invalidanti, e, dall’altro lato, precisando che i primi sintomi (quali disorientamento e confusione mentale) non sono considerati elementi sufficienti per concludere per la incapacità di intendere e di volere (Trib. Firenze, n. 285/2015). Al riguardo, dunque, il mio consiglio è quello di sentire il medico che aveva in cura Suo padre, al fine di accertare, in concreto, quali fossero le sue condizioni di salute mentale, nonché di verificare (e soprattutto essere in grado di provare documentalmente) la possibilità che la demenza senile, da Lei citata, integri concretamente la fattispecie di incapacità di intendere e di volere richiesta ex lege. In secondo luogo, Le suggerisco di rifarsi ai vizi della volontà sanciti dall’art. 624 c.c., con particolare riguardo alla violenza e al dolo.
Con riferimento alla violenza, si deve considerare che quella fisica (per esempio, il testamento redatto e sottoscritto prendendo di forza il braccio del testatore e facendolo scrivere coattamente), comporta la nullità del testamento, ed è molto difficile da provare; quella morale o psichica (identificabile con la minaccia di un male ingiusto e notevole, posta in essere allo scopo di determinare il testatore a disporre in un dato modo), ne consente l’annullamento. Con dolo, poi, ci si riferisce a una forma di coartazione della volontà che si incentra sulla presenza di una falsa rappresentazione di questa, rilevando, a tal fine, i soli raggiri che abbiano determinato una notevole discordanza tra volontà e dichiarazione del de cuius.
Tenga presente, però, che, per annullare un testamento, la Corte di Cassazione non ritiene sufficiente che sia stata esercitata sul testatore qualsiasi influenza di ordine psicologico, come per esempio blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni, ma occorre che siano stati messi in atto appositi mezzi fraudolenti idonei, per le condizioni di salute, l’età e lo stato psichico della vittima, a suscitarle la rappresentazione di una falsa realtà e orientarla quindi a una distribuzione del suo patrimonio alla quale non sarebbe approdata spontaneamente (Cass. Civ. n. 2448 del 4 febbraio 2014).
Dunque, nel nostro ordinamento, il confine fra le fattispecie in esame è molto labile, con la conseguenza che le ingerenze meno incisive, ma comunque determinanti, non costituiscono motivo d’annullamento. Un approccio che sembra eccessivo, se si considera che così si rischia di avvantaggiare coloro che hanno approfittato delle condizioni del de cuius. La situazione sarebbe indubbiamente più semplice negli Stati Uniti, dove – come Lei probabilmente saprà – anche la semplice riduzione della capacità, dovuta a influenze umane o naturali, aziona un “campanello d’allarme”.
Si sono infatti diffuse le teorie della undue influence (i casi nei quali una persona è soggetta a dominio psicologico da parte di un altro, al punto da non poter fare a meno di realizzarne passivamente i desideri) e delle suspicious circumstances (circostanze che sollevano un fondato sospetto che il testamento non esprima il volere del testatore, pur in assenza della prova che la volontà del testatore sia stata deviata dall'opera di un terzo, o da violenza fisica, o da abuso psicologico). In conclusione, gentile Signora, il codice civile Le offre più di una soluzione, con l’unico ostacolo rappresentato dalla raccolta delle prove. Queste devono fondarsi su fatti certi, che consentano di identificare e ricostruire l’attività captatoria e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà.
Si tratta, in pratica, di una prova diabolica: accattivarsi la simpatia e l’amicizia del testatore è un processo che può richiedere anni e maturare dopo una lunga serie di capziose affermazioni e dubbi insinuati, che difficilmente costituiscono “fatti certi” e che altrettanto difficilmente possono essere provati (soprattutto nella Sua situazione, dopo anni vissuti a migliaia di chilometri di distanza dal Suo papà). La esorto, quindi, a raccogliere quante più informazioni possibili dalle persone che, oltre alla badante, sono rimaste accanto a Suo padre in questi ultimi anni (i vicini, gli amici o qualche parente).
*Studio Legale Bernardini de Pace