Lo sguardo libero
L’economista Fabio Accinelli: “A Bruxelles comandano le lobbies”
Le decisioni economico-finanziarie che riguardano i cittadini europei sono condizionate dalle grandi imprese globali
Le compagnie più attive sono quelle made in Usa del settore delle nuove tecnologie
Dal 6 al 9 giugno 2024 i cittadini europei saranno chiamati ad eleggere il prossimo Parlamento dell’Ue che a sua volta esprimerà i nuovi vertici dell’Europa, ma a comandare sono le lobbies. È quanto afferma Fabio Accinelli, economista ed esperto di mercati e finanza internazionali.
Fabio Accinelli, lei teorizza una sorta di post-democrazia?
A Bruxelles le decisioni importanti vengano prese dalle élite politiche, economiche e finanziarie. Tutto questo possiamo chiamarlo post-democrazia. Una situazione consolidata, dove tutte le forme di democrazia, pur continuando formalmente a funzionare, sono di fatto diventate un semplice rituale perché poi al momento dei conti le decisioni ultime vengono prese altrove. Dalle lobbies.
Gli Stati membri che fanno?
Ai singoli Stati non resta poi che scannarsi l’un l’altro facendosi una strenua concorrenza per attrarre sul proprio territorio almeno parte degli investimenti di questi gruppi industriali globali. La Ue è tecnocratica quindi la politica viene sollecitata e accompagnata dal potere esaudiente delle lobbies per decidere gli obbiettivi e la qualità (in teoria) etica dei mezzi politici poi usati per raggiungerli. Nel modo di esecuzione la burocrazia così modellata e la tecnocrazia ne assicurano poi l’implementazione.
Come funziona il meccanismo?
L’Europa è un grande circo dove sulla sua giostra siedono funzionari, lobbisti, giornalisti, ong, sono tutti per mano in un’onda lunga cavalcata dalle istituzioni, dalle ambasciate e soprattutto dalle rappresentanze industriali sempre più potenti che organizzano meeting continui in cui tutti si incontrano per decidere cosa e come spartirsi un certo affare.
Di che dati parliamo?
La figura della lobby fa da sempre parte della vita pulsante e decisionale di Bruxelles: 37mila persone influenzano le istituzioni europee con i loro 26mila uffici ma di questi solo 12mila ufficialmente registrati nel Registro della Trasparenza. Questa è una vera e propria banca dati che raccoglie tutte quelle organizzazioni che cercano di influenzare il processo legislativo e attuativo delle politiche delle istituzioni europee, di fatto ha la funzione primaria di monitorare le attività dei lobbisti dove il loro fine vero e primario è quello di fare pressioni sui legislatori della Ue.
Le lobbies che settori rappresentano?
Le compagnie che spendono di più su questo fronte sono tutte made in Usa appartenenti al settore dell’high tech. Si stima che nel settore digitale di public affairs a Bruxelles ci siano ad oggi 651 aziende e le prime dieci tra loro spendano da sole oltre 40 milioni di euro all’anno. Questa forte impennata ha avuto inizio dopo che nel corso del 2022 è partito lo studio, la preparazione e quindi l’approvazione del Digital Service Act, ovvero la responsabilizzazione delle piattaforme social. Finito questo step ora si lavora alacremente per condizionare la strada legislativa europea sulla intelligenza artificiale. Dietro le compagnie del digitale spopolano le lobbies legate al settore chimico e quelle dell’Oil & Gas È presente ai vertici lobbistici anche il settore farmaceutico con tutte le più importanti compagnie di medicinali.
Il settore delle armi?
Negli ultimi anni, anche a causa dei recentissimi conflitti ai confini d’ Europa, sono letteralmente esplose per numero e per importanza le lobbies legate alla produzione delle armi. A ciò ha contribuito direttamente anche la Commissione europea nel momento in cui ha letteralmente infranto il tabù di finanziare direttamente con soldi pubblici europei i produttori di armi e mezzi di difesa. Oggi senza ombra di dubbio la lobby più importante è quella che gravita nel settore delle armi. Fino al 2014 il bilancio europeo non poteva essere impiegato per costruire armi, questo era lo spirito di pace dell’Unione sorta sulle ceneri della Seconda guerra mondiale. Poi Vladimir Putin invade la Crimea, arriva le Brexit, Donald Trump con i suoi poco indiretti attacchi alla NATO, gli attentati terroristici a Londra, Parigi e Bruxelles e da quel momento in un crescendo continuo tutto cambia. Nel 2017 nasce la PESCO – Permanent Structured Cooperation, cooperazione tra i governi europei per progetti comuni e vengono distribuiti 90 milioni di euro per finanziare i primi 18 progetti sulle armi, nel 2020 si è passati ad oltre 500 milioni con il programma EDIDP – European Defence Industrial Development Programme, collegato a 41 progetti. Lo scopo oramai chiaro e dichiarato della difesa europea è quello di sostenere l’industria bellica dell’Unione. Oggi il Fondo europeo per la difesa come si legge nell’ ultimo Bilancio europeo è pari a ben 7,9 miliardi di euro. La Francia, leader nel settore, gode di 225 milioni di euro, ben al di sotto di tale importo seguono Germania, Italia e Spagna. Anche in questo caso è tutto un gioco di potere e di lobby che, a gran voce, partecipano a tutte le decisioni sulle attribuzioni dei fondi che vengono prese in “oscure stanze” dove si decide degli interessi industriali che dominano le scelte europee, il tutto in concerto con esperti e comitati di consulenza.
C’è un problema di trasparenza quindi.
Questi working group si svolgono tutti rigorosamente a porte chiuse, senza far trapelare resoconti sulle posizioni decise da ogni singolo Stato. Sicuramente la fase in assoluto più delicata è quella riguardante la preparazione di una nuova legge dove è la Commissione europea ad avere l’esclusiva legislativa. Deve essere chiaro che nessuno, né gli eurodeputati eletti dai cittadini, né il Consiglio può proporre direttamente le leggi. È un compito istituzionale esclusivo della Commissione che poi è anche l’organo che liquida gli importi dei vari fondi europei. Quindi, per motivi legati al liberalismo dominante a Bruxelles, intorno alla Commissione europea gravitano una miriade di gruppi di esperti, consulenti, partenariati pubblici e privati che di fatto “aiutano” l’esecutivo Ue nella preparazione delle leggi e degli atti delegati, insomma la lobby a tutti gli effetti è ben dentro alle istituzioni europee.