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Taranto, il frate che si batte per restituire il mare alla città

 

Taranto, 25 ott. (askanews) - Una città affacciata sul mare senza poterne beneficiare. E' il destino di Taranto. Le acciaierie dell'ex Ilva, il caso più noto, danno lavoro ma provocano anche malattie. E succhiano da decenni la vita del mare: aspirano acqua per raffreddare gli impianti, assorbono mano d'opera che nei secoli passati faceva del porto un'eccellenza nel Mediterraneo, desertificano un ambiente che nel corso del tempo è stato inquinato, trascurato, abbandonato.Fratel Francesco Zecca, coordinatore nazionale dell ufficio Giustizia, Pace e Integrità del Creato dei Frati Minori:"Taranto negli ultimi cento anni ha perso il legame con il mare. Non vive più di mare. Ha bisogno di recuperare la vocazione profonda della città che è il legame con il mare".Fratel Zecca è impegnato da anni a restituire alla città il mare. Una storia secolare, interrotta già a fine ottocento, quando la Marina militare e poi l'Aviazione si installarono lungo la costa. Un lungo muro ancora oggi separa le abitazioni da uno dei lati della "città dei due mari".Stefano Vinci, professore all'università di Bari, dipartimento Jonico in sistemi giuridici ed economici del Mediterraneo:"La città volta le spalle al mare nel momento in cui sceglie l'industria, sceglie una vocazione industriale, e volta le spalle alla tradizione della pesca della città, una tradizione che era radicata fin dall'antichità. Ad esempio nel medioevo c'era un regolameto che regolamentava quelli che erano le varie fasi della pesca, i periodi dell'anno in ci pescare, le zone in cui pescare, gli strumenti con cui pescare. Però la città a un certo punto, soprattutto a metà del novecento, volta le spalle al mare e sceglie una vocazione industriale. I pescatori lasciano le barche per andare a lavorare in industria. Molti fanno una scelta, magari in quel momento più redditizia, di scegliere di diventare operai e avere uno stipendio fisso e abbandonare le incertezze del pescato quotidiano, ma così tradendo una tradizione millenaria della città".Nel "mare piccolo", oggi parzialmente recuperato, si coltivano le caratteristiche cozze tarantine, le ostriche, e si possono intravedere cavallucci marini e tartarughe. La ricchezza prodotta dalle varie industrie presenti sul territorio, da parte sua, non migliora le condizioni di vita dei tarantini.Stefano Vinci, professore all'università di Bari:"Creano una ricchezza che non si riversa sul territorio, che non investe nel territorio, ma anzi deturpa e sfrutta il territorio di tutto quello che può dare, ma non ricambia quello che il territorio gli ha dato".La Chiesa cattolica è impegnata ad invertire la tendenza. Non è un caso che la Conferenza episcopale italiana abbia scelto Taranto come sede della Settimana sociale dei cattolici italiani che si è svolta in questi giorni nel nome dell'enciclica Laudato si' di papa Francesco.Fratel Francesco Zecca, coordinatore nazionale dell ufficio Giustizia, Pace e Integrità del Creato dei Frati Minori:"Per recuperare questo legame", spiega il francescano, "c'è bisogno di un cambio di prospettiva, di un cambio di sguardo, che non è solo economico, culturale, sociale, ma è soprattutto spirituale. L'ecologia integrale è soprattutto una rivoluzione spirituale che permette un cambio di prospettiva, un cambio di sguardo, a partire da uno sguardo contemplativo della realtà. E allora partire da questo sguardo sul paesaggio, tornare a meravigliarsi per la propria terra, ecco come si dice anche nel film di Peppino Impastato 'Cento passi', prendersi cura della bellezza permette di indignarsi quando questa viene detrupata. Qui - conclude il religioso - c'è bisogno di recuperare lo sguardo sulla bellezza della propria terra".