A Israele i vaccini non mancano mai. E non perché il premier Benjamin Netanyahu abbia aderenze con Pfizer ma semplicemente perché Israele li paga 56 dollari a dose e non 19,5 come l’Europa o 39 come gli States (ogni dose ha le due iniezioni), come ha riportato a novembre The Times of Israel. Giusta o sbagliata che sia, la scelta di Israele è stata chiara fin dall’inizio: puntare sui vaccini e assicurarsi che ci siano sempre, ad ogni costo, decidendo di pagarli anche ad un prezzo “maggiorato”. Nel libero mercato, visto che con la globalizzazione i governi hanno sempre meno capacità di determinare processi economici e sociali, anche in situazioni drammatiche come l’attuale, funziona brutalmente così. E’ una scelta che si può non condividere ma è una scelta pianificata. E il mondo sembra avere perso la cultura di un Albert Sabin che donò il vaccino contro la poliomelite non brevettandolo.
La questione sul prezzo, se fosse giusto o sbagliato muoversi in quel modo, ha sollevato un notevole dibattito sui giornali nazionali. In più Ynet News, sito israeliano molto seguito, ha riferito “che l'accordo non obbliga Pfizer a fornire i vaccini, ma si limita a dichiarare che intende farlo secondo le circostanze".
"Non obbliga" eppure a Israele i vaccini non mancano. In queste ore è partita addirittura la vaccinazione dei ragazzi tra i 16 e i 18 anni. L’obiettivo dichiarato è coprire entro fine marzo i due terzi della popolazione che è complessivamente intorno ai 9 milioni, al fine di far ripartire il sistema scolastico “in presenza” visto che è stato sospeso con l'attuale lockdown. E oltre a Pfizer lo Stato ha già chiuso accordi con altre case di produzione.
Ma anche con la massiva campagna di vaccinazione il virus non è scomparso. Domenica il governo ha approvato la chiusura dell'aeroporto Ben Gurion, principale accesso ad Israele. Il blocco nazionale durerà fino al 31 gennaio. L’idea è di "sigillare ermeticamente" lo Stato, visto che le mutazioni del Covid-19 nel Regno Unito, in Sud Africa e in California, già rilevate nel Paese, stanno dando vita ad una terza ondata. Il capo dei servizi di sanità pubblica presso il ministero della Salute, la dottoressa Sharon Elrai-Price, ha dichiarato alla Commissione per la costituzione, la legge e la giustizia della Knesset che un divieto prolungato sui voli internazionali è l'unico modo per combattere il ceppo britannico di coronavirus, che ha detto è diventato il predominante. "La variante britannica è il 50% più contagiosa", ha dichiarato Elrai-Price Ynet News, "circa il 40% delle infezioni al momento sono tra i bambini e quando siamo usciti dal secondo blocco, loro (i bambini) erano il 29% della popolazione infetta. Stiamo assistendo a un aumento della percentuale di studenti infetti in primo e quarta elementare e siamo preoccupati per questo". Una terza ondata che potrebbe far presto capolino da noi. A dicembre il ministro israeliano della Salute, Yuli Edelstein ha spiegato così la situazione: "Ci vorranno dai 2 ai 3 mesi affinché il programma di vaccinazione abbia effetto". Aggiungendo: “Abbiamo sprecato tempo prezioso e il livello delle infezioni è tale che non abbiamo altra scelta che andare in lockdown".
Noi italiani che di tempo ne abbiamo a iosa e non ne abbiamo mai sprecato, mangiando pane e lockdown, non badiamo a queste sciocchezzuole. Tanto meno apprezziamo termini come “pianificazione” e capacità di adattarsi alla situazione cambiando velocemente i piani. Perché se il virus accelera chiudiamo tutto... e i costi li pagano i cittadini. Tanto ai governanti lo stipendio arriva comunque.
Siamo troppo occupati con una crisi di governo degna dello Stato libero di Bananas e a pensare di far causa a Pfizer per i ritardi dei vaccini. Uno spettacolo per grulli. I contratti con la farmaceutica statunitense sono stati firmati dall’Unione Europa.
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