Cronache
Angelo Guglielmi, le critiche a Bologna e la pastasciutta. Ritratto inedito
Angelo Guglielmi, il ritratto inedito di un grande intellettuale. Un uomo in missione per la cultura. Non solo ideatore di programmi televisivi di successo
Angelo Guglielmi, critico, giornalista, saggista. Che cosa non sapete del grande sperimentatore. "Bologna, una città ridotta a un agglomerato di localini per aperitivi?”
Ieri notte è morto Angelo Guglielmi, ex direttore di Rai 3. Per quasi due anni, dal 2004 al 2006, siamo stati insieme in giunta al Comune di Bologna con Cofferati sindaco, doveva essere una riscossa e fu una magra delusione. Per me un’esistenza fa.
Angelo Guglielmi ce l’avevo seduto a destra per un fatto che inizialmente mi sembrò casuale: la prima volta che entrammo in giunta nessuno mi parlava, ero un po' un estraneo, e non parlavano neanche a lui che veniva da Roma, forse per soggezione visto che era il mitico direttore della Rai che aveva cambiato la televisione italiana. Ci sedemmo vicini.
Immaginiamo le persone che hanno diretto enti strategici quali la Rai come persone protette da politici influenti. Ma capivi in fretta che per lui valevano altre simmetrie. Angelo era curioso, subito mi chiese perché ero lì, da dove venivo, di raccontargli la mia storia, che volevo fare. Guardandolo, in quel momento 75enne, capivi perché lui era lì. La calma che apparentemente manifestava improvvisamente lo accendeva e veniva travolta da un mare di passioni. Si illuminava quando un’idea lo possedeva come se un impeto avesse il sopravvento. Si sentiva come in missione per conto della cultura. Era uno sperimentatore sempre.
Angelo era un intellettuale coltissimo, un critico letterario a volte anche tradizionale. Ricordo le discussioni su Calvino, o meglio le “non discussioni” perché non si poteva criticarlo. Per lui era un modello, forse l’apice irraggiungibile della sua generazione.
Angelo aveva avuto l’intelligenza e la destrezza di inserirsi in un vuoto, la stagione a cavallo della caduta del Muro di Berlino, e in quel vuoto aveva scatenato la sua fantasia, rivoluzionando la tv italiana. Ma non se ne vantava mai. Mai un ricordo compiaciuto, mai un’autoesaltazione. “Per me era solo l’inizio di cosa doveva essere, raccontare la vita com’è davvero. Questa è la finzione del grande romanzo popolare”, mi confidò una delle poche volte che parlammo della sua Rai.
Angelo soprattutto era una brava persona, razionalmente cosciente dei marchingegni foschi dietro la politica, con i quali bisognava inevitabilmente fare i conti, anche a 75 anni, per muovere qualche leva significativa. Ma si sentiva imbrigliato. “Mi scoccia non poter fare quello che mi ero ripromesso”, mi disse irritato un paio di volte e non solo a me.
Le riunioni di giunta, con le verbose e inutili discussioni che le caratterizzavano, valevano la pena solo per le battute sardoniche che mi faceva sottovoce all’orecchio. Sempre silenzioso, pensieroso, me lo ricordo come fosse ora quando mi guardava e faceva capolino: “Sei giovane! Hai bisogno di qualcuno che ti sostenga (all’epoca avevo solo 34 anni, ndr)”. Poi aggiungeva: “D’altronde i giovani hanno il destino di non essere sostenuti da nessuno”. E via una risata.
Dopo le riunioni scompariva. Indaffarato nel lavoro di assessore alla cultura, appassionato come un ventenne al primo incarico. Ogni tanto lo trovavo a pranzo da solo, a mangiare una pasta in bianco e due fette di ananas, solo quello. E con lo stesso trasporto con cui parlava di Calvino mi diceva: “Tu non sai quanto faccia bene l’ananas, per le sue proprietà antinfiammatorie e riparatrici all’apparato circolatorio”. Beh, vista la tua longevità forse avevi ragione. Ma sono più persuaso che sia stato il tuo spirito irrequieto e curioso il carburante che ti ha condotto fino ad oggi. L’ho visto anche nell’ultima intervista qualche mese fa.
Angelo era cresciuto a Bologna, aveva studiato in quell’Università di altri tempi, lontani anni luce dagli attuali. E anche se non aveva più grandi legami con la città aveva un’idea del suo ruolo che non attribuiresti ad un settantacinquenne.
Una volta in giunta chiese perché non fosse possibile per gli assessori avere accesso in auto alle corsie preferenziali, per evitare di perder tempo nel traffico. Perdere tempo lo irritava. Qualcuno ne rise. Altri pensarono stupidamente al tentativo di avere un privilegio. Lui li guardava esterrefatto. Si sentiva investito dal ruolo di assessore come un agente speciale in missione, per riportare la cultura nella città che tanto aveva amato in gioventù e che in quegli anni, e peggio ancora nel presente, sotto quel versante si era desertificata. “A che serve il centro”, diceva, “per farci gli aperitivi? Una città bellissima ridotta a un agglomerato di localini per aperitivi?”.
Angelo era un agente speciale in missione per la cultura, non un politico o un impiegato qualunque che può perdere tempo.
Ciao Angelo, sono sicuro che dove sei ora ti stai facendo delle sane discussioni su come continua il romanzo popolare della nostra vita.