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Cronache
Angelo Panebianco ha perso la bussola, non l'Occidente

Ieri sulla prima pagina del Corriere delle Sera c’è stato una lungo e dotto (almeno nelle intenzioni dell’autore) editoriale di Angelo Panebianco dal suggestivo titolo “L’Occidente ha perso la bussola”.

Panebianco, come noto, è un liberale e il liberalismo è la sua lente attraverso cui osserva e interpreta la realtà.

Panebianco “ci dice cose” per spaventarci come “servono al più presto leader che spazzino via le idee false e bacate che circolano in Occidente e che obnubilano le menti di tanti”, speriamo che non pensi a gente come al “falso profeta”, Emmanuel Macron.

Ma quali idee disturbano la mente del professore, quali demoni lo tormentano?

Presto detto.

Ad esempio, quella che la prosperità economica e la democrazia siano destinate a durare per sempre.

Aggiunge l’accademico che è “difficile stabilire se si tratti di un’idea bacata di ‘destra’ o di ‘sinistra’ forse è politicamente trasversale”.

La tesi base è quella quindi dell’Unione europea come argine ai moti centrifughi rappresentati dai nazionalismi alimentati, a loro volta, dal sovranismo populista.

Panebianco teme la “balcanizzazione” dell’Europa e si rifugia nel mito consolatorio di Winston Churchill, impegnato nel 1940 a contrastare la Germania nazista di Hitler, invece di allearvisi, cambiando così il corso della storia del mondo.

E poi c’è l’attacco a Donald Trump a cui Panebianco contesta “il voler chiudere l’epoca della leadership americana” con, sullo sfondo, la preoccupazione per quanto affermato recentemente da Vladimir Putin sulla guerra nucleare e il ricordo dell’Unione Sovietica che schierò negli anni ’80 dello scorso secolo i missili SS20 e SS21.

Però, ci dice il professore, allora non c’era il nazionalismo virulento che c’è ora, ma solo la contrapposizione tra Occidente e Oriente.

Ed infine, Panebianco cerca di fare un minimo di analisi sulle cause che hanno condotto a tutto questo, attaccando sia la destra nazionalista che, vivaddio, la sinistra buonista con la sua filosofia elitaria del “politicamente corretto”, nata nei campus universitari elitari anglosassoni.

Panebianco però commette due errori.

Il primo è quello di non prendere atto della realtà e cioè che questo stato di cose non è in divenire ma, di fatto, è già accaduto e cioè la crisi del concetto di Europa, come unità, è un fatto già acclarato da diversi anni e quello che sta accadendo è il frutto, non la causa di questo processo storico che ha alla base il concetto di rivolta contro le élite, di cui Panebianco, professore universitario e vergatore corrierista, fa parte.

È troppo facile interpretare lo Zeitgeist liquidandolo come “invidia sociale” ed è troppo ingenuo pensare che bastasse una moneta posticcia come l’Europer fare l’Europa” senza aver fatto prima gli europei e cioè aver creato una connessione di emozioni tra i popoli, ancor prima che di banche speculatrici.

Parafrasando qualcuno potremmo dire “la pacchia è finita”, nel senso che ormai la misura è colma e l’aumento del divario tra chi si è arricchito (con banche e finanza) o ha raggiunto posizioni di potere in questi decenni e chi è rimasto indietro è troppo elevato per essere edulcorato con dotti e fallaci ragionamenti propinati poi proprio dall’élite stessa.

E meno male che Panebianco non si rifugia nel solito attacco contro il “complottismo internazionale finanziario”.

Diego Fusaro, ne ha scritto spesso e in maniera assai convincente proprio dalle pagine di questo giornale.

Il secondo errore che commette Panebianco è il non soffermarsi abbastanza sulle cause di quella che lui vede come una crisi (e per lui e l’élite di cui fa parte, indubbiamente lo è) mentre per tutti gli altri, e cioè il tanto bistrattato “popolo”, è invece una grande opportunità servita da quel raffinato - e dopo tutto prevedibile- chef che è la Storia.

Troppo poco si sofferma il professore bolognese, ad esempio, sul devastante “buonismo” della sinistra che ha prodotto il sorgere naturale degli anticorpi nazionalisti, sovranisti e/o populisti.

È mai possibile sopportare leader di sinistra (o presunti tali) come Hillary Clinton e Michelle Obama, rivestite di ori e gioielli, intunicate di abiti firmatissimi e stivali d’oro, rivolgersi beffardamente ai “poveri”, ridendo sguaiatamente, con discorsi falsi e ipocriti?

O si pensava che in Italia, ad esempio, le spese con la scorta nei supermercati da parte di esponenti del Pd passassero inosservati al momento dell’urna? Oppure che le bandiere arcobaleno della pace sventolassero sempre e solo dai palazzi dei ricchi di sinistra e non nelle periferie?

Anni ed anni di prese in giro di politici di sinistra in Mercedes non potevano che produrre quanto è accaduto. Nella storia è già successo, come nella Rivoluzione Francese del 1789, nella Comune di Parigi del 1871 o nella nascita del fascismo e del comunismo nello scorso secolo.

Ma Panebianco inverte gli effetti con le cause e fa la Cassandra dei guai che lui stesso e la gente come lui ha provocato. È un profeta a cui non crede più nessuno, è un sacerdote senza più fedeli che vaga per le strade del mondo, parlando ormai solo a sé stesso, è l’archetipo della impossibilità per gli intellettuali liberal di capire quello che sta accadendo ora nel mondo.

È una figura come quella del falso profeta tratteggiata in modo sublime nel “Così parlò Zaratustra” da Friedrich Nietzsche, che interpretava un’epoca assai simile alla nostra.

Stiamo assistendo ad una nuova alba, ad un cambiamento storico inevitabile, da gestire al meglio sulla scorta di quanto ci ha insegnato il passato.

È un tempo incerto è vero. Ci sono pericoli e ci saranno lotte paurose e affascinanti, come quelle descritte da Ernst Jünger in “Tempeste d’acciaio”, ma è anche il tempo dell’azione, non più di lamentazioni sull’Occidente che, semmai, caro Panebianco non “ha perso la Bussola” ma l’ha “finalmente ritrovata”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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