Borsellino, tutte le ombre sulla strage di via D'Amelio
Da Scarantino al "terzo uomo", dall'agenda rossa alle indagini dei pm. Tutti i dubbi e i depistaggi sulla morte di Borsellino in via D'Amelio
TUTTI I DUBBI SULL'OMICIDIO DI BORSELLINO
C'è chi la considera il motivo dell'inizio della trattativa, per provare a impedire altri massacri. C'è chi invece la considera parte stessa della trattativa tra Stato e mafia, la cui esistenza è stata affermata nelle motivazioni della sentenza della Corte d'Assise di Palermo simbolicamente depositate proprio il 19 luglio, quando cade il 26esimo anniversario della morte di Paolo Borsellino. Ma una cosa è certa: le ombre sulla strage di via D'Amelio sono ancora tantissime. Un'operazione arrivata tempo dopo un altro piano per assassinare Borsellino, un piano la cui esistenza è stata svelata in un'intervista ad Affaritaliani.it da quello che doveva essere il suo esecutore materiale, il pentito Vincenzo Calcara.
IL "TERZO UOMO" E L'AGENDA ROSSA
Le ombre e i misteri sono tanti. A cominciare da quanto accaduto il giorno prima quel tragico 19 luglio. Il pentito Spatuzza, che nel 2008 ha smascherato il falso pentito Scarantino, ha parlato di un misterioso uomo che partecipò al caricamento dell'esplosivo. Un "terzo uomo" (così definito da Spatuzza) che, ne sono convinti in molti, non era parte di Cosa Nostra. Da dove arrivava davvero quell'uomo? Chi era? Come sempre in questi casi, c'è chi adombra l'interessamento dei servizi segreti. Per ora nessuna prova e tanti misteri. Resta un mistero anche il nome dell'uomo che rubò l'agenda rossa di Paolo Borsellino dalla sua borsa. Un'agenda che avrebbe potuto svelare dettagli sul lavoro del magistrato prima di morire, ucciso prima di poter essere ascoltato dai colleghi come testimone in merito alla morte del collega e amico Giovanni Falcone.
MANCATI VERBALI
C'è altro: la scena della strage non preservata perfettamente, il mancato verbale della polizia con Scarantino nel garage dove diceva di aver rubato la 126 poi trasformata in autobomba, il mancato affidamento dello stesso Scarantino al servizio di protezione e il ruolo molto attivo del gruppo diretto da Arnaldo La Barbera. E le tante domande sull'operato anche dei magistrati nelle indagini.
I DEPISTAGGI NELLE INDAGINI
I tanti dubbi sono stati recentemente rilanciati dalla sentenza Borsellino quater, dove i giudici di Caltanissetta riconoscono l'esistenza di "depistaggi" sulle indagini per ricostruire l'accaduto. Al momento sono aperte tre inchieste per provare a capire i segreti del depistaggio. La prima è l'istruttoria aperta dal Consiglio Superiore della Magistratura, la seconda è quella della procura generale della Cassazione e la terza è quella della commissione siciliana antimafia. Tutti fascicoli che puntano a capire se ci sono state responsabilità effettive dei magistrati in questo mscenario di bugie e false piste.
IL RUOLO DI SCARANTINO
D'altronde, Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso, intervistato da Affaritaliani.it ha chiesto di fare chiarezza non solo sui poliziotti ma anche sulle toghe che si sono occupate del caso. Fiammetta Borsellino lo ha chiesto chiaramente: "Possibile che nessuno abbia capito che c'era un falso pentito?" La figlia di Paolo si riferisce, nelle 13 domande pubblicate da Repubblica, a Scarantino, che condizionò in mood probabilmente irreperabile le indagini.
TUTTI I MAGISTRATI DELLE INDAGINI
All'epoca delle indagini il procuratore di Caltanissetta era Giovanni Tinebra, scomparso nel 2017. I giudici sottolineano la sua richiesta di collaborazione di Bruno Contrada subito dopo la strage, una richiesta considerata irrituale visto che Contrada faceva parte dei Servizi segreti. I critici sottolineano anche la mancata audizione di Borsellino che aveva chiesto di essere ascoltato come testimone sulla morte di Giovanni Falcone.
Gli altri due pm a occuparsi da subito dell'indagine furono Francesco Paolo Giordano e Carmelo Petralia. Giordano ha sottolneato che il motore delle indagini era Arnaldo La Barbera "per la conoscenza che mostrava dei fatti". Ma qualche dubbio ci sarebbe stato. "Ci rendevamo conto che il furto della 126 era stato assunto da persone che non rivestivano in un ruolo di eccellenza in Cosa Nostra. C'erano quindi molte perplessità. ma Arnaldo era convintissimo", ha dichiarato Giordano.
Poco dopo l'arresto di Scarantino, protagonista del depistaggio, viene applicata a Caltanissetta anche Ilda Boccassini, che autorizza dieci colloqui con lui a Pianosa e lo interroga subito dopo il "pentimento" nel 1994. Boccassini, durante il processo Borsellino quater, ha dichiarato: "Le perplessità per me iniziano allora". La Boccassini avrebbe poi scritto due lettere per esprimere perplessità su Scarantino, la prima rivolta a Tinebra e Giordano e la seconda rivolta a tutti i colleghi.
Ma gli altri due pm di questa vicenda, Anna Palma e Nino Di Matteo, hanno dichiarato di non aver mai ricevuto questa missiva. Secondo Scarantino sarebbe proprio Anna Palma ad aver portato a San Bartolomeo al Mare i verbali che servivano a preparare il balordo alle udienze, nella fase di "indottrinamento" che ha provocato la richiesta di rinvio a giudizio per tre poliziotti. Palma nega in maniera decisa questa versione.
Di Matteo ha invece precisato: "Non ho partecipato alla prima fase delle indagini, condotte da Boccassini, Petralia e altri, in collaborazione con La Barbera. Le perplessità su Scarantino c'erano. Con la Palma ritenemmo di utilizzarlo per quello che aveva dichiarato prima del 6 settembre 94 e solo per le parti riscontrate".