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Cronache
Forteto. Parla Pietracito: "Era una setta"
Sergio Pietracito

Secondo l’associazione vittime del Forteto, in oltre 30 anni, 86 ragazzi sono stati affidati alla comunità mugellana gestita da Rodolfo Fiesoli. Il Profeta. Non tutti hanno avuto giustizia: perché alcuni degli abusi contestabili si perdono nel tempo, e nella prescrizione. Non tutti hanno parlato: perché oggi, dopo una netta condanna in attesa della Cassazione, e due pesanti inchieste politiche, non esporsi significa, anche, non dover ricordare. Il Presidente dell’associazione, Sergio Pietracito, parla con Affari Italiani del Forteto. L’esperienza personale, la fuga, l’egemonia culturale, i libri, le condanne dimenticate e le perversioni tollerate.

Che cosa è successo al Forteto?

«Per usare le parole del PM Ornella Galeotti, c’è stata un’allucinazione collettiva durata decenni. Si riferiva al mondo politico, istituzionale, accademico e scientifico che ha sostenuto il Forteto sin lontano dal 1978. Mistificazioni e raffinate malvagità: c’è stata (e c’è) una setta».

Quale è stata la sua esperienza?

«Ho vissuto lì 12 anni. Ne avevo 18 quando sono entrato, e ne sono uscito a 30. L’8 febbraio del 1990. Scappai in Olanda. Era l’unico modo per allontanarsi. In quel periodo mi cercarono: chiesero di me a mio fratello. Lo ossessionavano, credevano che sapesse dove mi ero rifugiato. Gli dicevano che ero impazzito, che, se non avesse collaborato, sarei finito male per colpa sua. Come tutti quelli che si opponevano rappresentavo un pericolo per la credibilità della comunità».

E quando è tornato in Italia?

«Nel 1992, due anni dopo. Con due figli e una moglie. Ma non è stato facile, ho dovuto iniziare tutto da zero. E comunque, sono stato tra i più fortunati: altri non c’è l’hanno fatta».

Dell’influenza del Forteto in Toscana si accorse prima o dopo la fuga?

«Dentro, alla fine, presi coscienza delle perversioni. E per questo scappai. Ma dell’egemonia conquistata da Fiesoli solo dopo. All’interno del Forteto si viveva in una bolla, un giorno seguiva l’altro. Non c’erano contatti con l’esterno. Non c’era nemmeno la percezione di ciò che accadeva. Le relazioni esterne erano curate solo dai vertici della setta, sotto la stretta regia del Fiesoli».

E intanto.

«Quei minori erano prede. Fiesoli voleva possedere i ragazzi anima e corpo. Un modo per saldare il legame col Forteto. E’ una storia che si è fondata su una continua ricerca di protezioni in tutte le direzioni.Il Forteto è nato in Toscana , e ha cercato accordi con la parte politica predominante (la sinistra). Fosse stato in Lombardia avrebbe cercato accordi con il centro-destraDoveva essere prevenuta qualunque cosa potesse arrecare danno alla comunità».

Come?

«Per esempio, con la pubblicazione di libri riguardati, direttamente o meno, il modello educativo del Forteto. Libri che poi venivano pubblicizzati, presentati, diffusi. Ogni volta che un pericolo (un pericolo giudiziario, s’intende) si intravedeva all’orizzonte, arrivava un libro».

Si spieghi meglio.

«1980: esce Non fu per caso. Il Forteto: una leggenda dei nostri tempi, di Luigi Goffredi (il braccio destro di Fiesoli). Perché? L’anno precedente i due erano stati arrestati a seguito di un procedimento avviato per abusi sessuali. Passarono diversi mesi in prigione. Quando esce il libro era in arrivo la sentenza di primo grado, le polemiche crescevano. E quindi il Forteto decise di celebrarsi e farsi celebrare. Come accadde».

Poi la condanna, e non succede nulla. Un caso unico.

«Nel 1985 viene emessa la condanna in via definitiva per Goffredi e Fiesoli. Quest’ultimo viene condannato dalla Corte d’Appello di Firenze a due anni di reclusione per maltrattamenti nei confronti di una ragazza, per atti di libidine violenta e per corruzione di minorenne. Dalla sentenza emerge “l’istigazione da parte dei responsabili alla rottura dei rapporti tra i bambini che erano loro affidati e i genitori biologici” e “una pratica diffusa di omosessualità”. Poi, l’8 maggio 1985, il ricorso in Cassazione avanzato dai due imputati viene respinto. Ma non finiscono in carcere».

Mentre gli affidamenti di minori continuano.

«A decine, senza tener conto della sentenza passata in giudicato. Qualcosa di incredibile».

Altri libri?

«Ne sono stati scritti diversi. E ripeto: servivano a mitizzare il Forteto. Non posso non ricordare quello del 1998 scritto da Lucio Caselli: Il Forteto. Storie di un medico di famiglia. E quello del 1999 del sociologo Giuseppe Ferroni: Forme di cultura e salute psichica. Universo simbolico, ethos, areté e regole di relazione nel mondo del Forteto. Edizioni Mulino, non certo un editore qualunque. E perché in quel momento?».

Perché?

«Dopo un periodo di tranquillità, nel 1995, due bambine residenti con i genitori a Firenze, sono collocate, per inadeguatezza genitoriale, presso i nonni a Dicomano (un paesino del Mugello). Muore il nonno, però.  E la nonna è ritenuta poco idonea a proseguire l’accudimento. Lei si oppone. E le bambine, allora, le vengono strappate con l’intervento di carabinieri e vigili del fuoco così da trasferirle al Forteto. In seguito, viene organizzata una raccolta firme per riportarle a casa, il Tribunale dei Minori è accusato, il Forteto finisce osteggiato da tutta la comunità locale. E quindi, riprende la propaganda».

Una sorta di solidarietà ricercata.

«Sembrano argomenti minori, questi. Ma se il Forteto godeva di una grande influenza all’interno del Tribunale dei minori, nonché di una scarsa attenzione da parte dei servizi sociosanitari, anche il lato culturale era ben curato. Una forma di difesa indiretta che consolidava il ruolo del padre/padrone Rodolfo Fiesoli. Il Profeta».

Nel 2000 l’Italia è condanna dalla Corte di Strasburgo per fatti accaduti al Forteto. A una madre era impedito di vedere i figli affidati.

«E la tattica va avanti. A livello locale, Fiesoli si impegna come membro del CDA dell’Istituzione Don Milani. E parteciperà alle attività legate al ricordo del prete di Barbiana fino all’ arresto del 2011. A livello istituzionale, nel gennaio 2003, per dirne una, a Firenze è organizzato un convengo del gruppo DS: “Minori, diritto o punizione”. Relatore? Luigi Goffredi».

E il libro?

«2003. Esce il secondo testo del Mulino: La strada Stretta. Storia del Forteto, dello scrittore Nicola Casanova, con prefazione dello storico Franco Cardini.  Che conclude: “Ci vorrebbero 10, 100, 1000 Forteti”».

Poi?

«2008. La contraddizione virtuosa. Il Problema educativo, Don Milani e il Forteto, di Giuseppe Fornari e Nicola Casanova, il terzo volume per il Mulino. 2009. Il libro dimenticato dalla scuola,  a cura Fiesoli, che fa arrivare il Forteto nelle scuole della provincia di Firenze presentando progetti finanziati dalle istituzioni. 2011. Fili E Nodi, presentato dal Procuratore di Prato (ex Presidente del T. dei Minori di Firenze) Piero Toni. Tutto appena prima dell’arresto di Fiesoli, e dell’emergere dello scandalo (novembre 2011). Il pericolo, infatti, già tra 2007 e 2008, era nell’aria: per la fuoriuscita di alcuni soci e per la denuncia di un padre preoccupato per il figlio. Ho fatto alcuni esempi, ho detto poco. Ma si capisce quanto il Forteto fosse radicato in Toscana. E perché, per anni, non sia mai stato messo in discussione».

Il buon nome del Forteto.

«Grazie alla negligenza delle istituzioni, locali e regionali. Che non hanno agito per tempo, voltandosi dall’altra parte. Già il Consigliere Regionale Rinaldo Innaco, il 28 ottobre del 1980, durante una seduta del consiglio toscano (a cui erano presenti i genitori, in lacrime, dei soci fondatori plagiati dal Fiesoli), raccontò cosa succedeva lì dentro. Non intervenne nessuno. Erano fatti che adesso, visto le sentenze, dovrebbero essere sotto gli occhi di tutti».

Invece?

«Si preferisce, come si è sempre preferito, non andare ad approfondire, anche a livello di opinione pubblica regionale. Negando abusi evidentissimi. Figuriamoci se a livello nazionale può esserci piena coscienza dell’accaduto».

Un altro libro, stavolta di denuncia, non andrà al Salone di Torino: Setta di Stato, l’inchiesta di Duccio Tronci e Francesco Pini. Escluso dallo spazio allestito per la Toscana con un voto compatto del Pd in un consiglio regionale.

«Un autogol politico. Che contraddice quanto la Regione si era impegna a fare. Questa storia non si vuole raccontare. E del resto, quella di farsi difendere per bocca d’altri è sempre stata una strategia del Forteto».

Quando si parla di «attacchi politici», quindi – è stato fatto anche nei confronti delle commissioni d’inchiesta -,  si fa il gioco del Forteto?

«E ovvio. E succede ancora oggi, purtroppo».

 

twitter11@Simocosimelli

 

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fortetocaso fortetotoscanarodolfo fiesolimugello
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