"Grandi Opere, zio Paperone per i 45 milioni". Le intercettazioni - Affaritaliani.it

Cronache

"Grandi Opere, zio Paperone per i 45 milioni". Le intercettazioni

Le conversazioni telefoniche fra i manager pubblici e gli imprenditori che imbarazzano anche il figlio dell'ex Ragioniere dello Stato Andrea Monorchio

"Ma lo zio Pietro ha chiamato che li vuole tutti e subito. Sigh. Digli, allora, che chiami zio Paperone, oppure la Banda Bassotti". Dalle intercettazioni fra Ettore Pagani, il direttore generale del Consorzio Cociv (dove la Salini-Impregilo è presente con un 63 per cento delle quote) e Giampiero De Michelis, il direttore dei lavori per alcuni tratti incriminati delle Grandi Opere finite al centro dei 35 arresti effettuati ieri, emerge con chiarezza il sistema di corruzione che spesso caratterizza l'universo dei lavori pubblici. 

«Loro sanno benissimo, le imprese... Le imprese sanno come si devono comportare... C’hanno pochi soldi, no? ... So’ disorganizzati, ma mica so’ stupidi... A te ti capiscono come si de..., che cosa gli conviene fare... Loro devono capire che il servizio è omnicomprensivo». Nelle parole di De Michelis, come si legge sul Corriere della Sera, c’è la sintesi del meccanismo: le imprese che volevano da lui, direttore dei lavori, un trattamento compiacente, dovevano affidare sub appalti alle ditte indicate dallo stesso De Michelis. L’ingegnere è considerato il «promotore e organizzatore» della presunta associazione per delinquere messa in piedi per corrompere ed essere corrotti nell’aggiudicazione e gestioni degli appalti legati alle Grandi opere.

«Commistioni e profitti illeciti»
«Servizio omnicomprensivo», dunque: prendi e dai. Che il giudice per le indagini preliminari, nell’ordine d’arresto eseguito ieri, riassume in un una «gravissima commistione di interessi tra controllori e controllati, nella quale l’unico collante è dato dal perseguimento dei profitti illeciti in danno della collettività». Il sospetto «socio occulto» di De Michelis, l’imprenditore calabrese Domenico Gallo, esprime lo stesso concetto in altre parole: «Le loro aziende, hanno un orticello loro e cose ... però... in joint venture con l’ingegnere». Anche perché, altrimenti, i controlli del direttore dei lavori sarebbero di tutt’altra severità. E dall’esito poco conveniente: «L’ingegnere è tosto... se non passano dalla strada giusta... fa alla lettera il suo lavoro e vuol dire che è meglio che rinunciano... che si buttano a mare».

In un’altra conversazione Gallo cita «l’amalgama», ma al di là delle definizioni il sistema è abbastanza chiaro. Così funziona una fetta di lavori pubblici in Italia, secondo le intercettazioni dei dialoghi dei protagonisti. Se si tratta di indizi sufficienti a diventare prove della responsabilità delle persone arrestate si vedrà nel corso dell’inchiesta e dell’eventuale processo; intanto l’apparente trama per lucrare indebitamente sulle Grandi opere emerge dalla viva voce di imprenditori e manager impegnati nei cantieri del Terzo valico dell’Alta velocità, o nell’ultimo tratto dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria. E risale a molto tempo fa.

«L’abbiamo fatto sulla Salerno-Reggio»
Ne parla Ettore Pagani, direttore generale del Consorzio Cociv (dove la Salini Impregilo è presente con il 63 per cento delle quote), con un altro manager del gruppo, sempre a proposito dei comportamenti e delle richieste di De Michelis: «Purtroppo siamo stati noi ad aver abituato questa gente a operare in un certo modo, e in passato lo abbiamo fatto su Cavet soprattutto. (…) Lui viene da lì... Lo abbiamo fatto sulla Salerno-Reggio e da altre parti ancora... Va bè, il vero problema è che sono cambiati i tempi e loro non riescono a capirlo... Diventa un po’ un pasticcio».

Dunque lo scambio tra direttori di lavori e imprese controllate, attraverso sub-appalti pilotati, sarebbe di antica data, ammette Pagani: «Non è la prima volta che fa queste cose, e noi diciamo che lo sappiamo ma non lo sappiamo... Però lo sappiamo... Le abbiamo gestite anche noi queste cose, anche io... però non c’erano parenti, non c’erano collegamenti così palesi». Stavolta, invece, sono quasi diretti: tra le aziende a cui affidare le commesse imposte dal direttore dei lavori alle ditte da controllare, ce n’è una riferibile alla figlia di De Michelis, Jennifer.

Proprio con Cociv, nella primavera del 2015, secondo gli inquirenti De Michelis mostra un «atteggiamento compiacente» quando si dichiara pronto a certificare uno stato di avanzamento dei lavori (Sal) gonfiato. L’ingegnere si mostra subito disponibile: «Vabbé, se Italfer è d’accordo non è quello il problema... si straccia tutto e si rimette, a fare si può fare». E il giorno dopo si parla di cifre: «Fare 23 milioni di Sal in più, non sono spicci... Erano i 40 che, hai capito che si aspettavano, no?», dice De Michelis a un suo collaboratore. Ventiquattr’ore più tardi viene intercettato uno scambio di sms tra De Michelis e Pagani che i magistrati considerano piuttosto eloquente.
De Michelis: «Ettore, totale 45».
Pagani: «Ma 45 sono l’extra di giugno o è compreso il Sal lavori?».
De Michelis: «Esagerato, 17 vecchio più recupero: 45 totale».
Pagani: «Ma lo zio Pietro ha chiamato che li vuole tutti e subito. Sigh».
De Michelis: «Digli che chiami zio Paperone, oppure la Banda Bassotti».
Nella ricostruzione dell’accusa, per un periodo De Michelis s’è mosso in combutta con Giandomenico Monorchio, che come amministratore della società Sintel incaricata della direzione dei lavori sul Terzo valico aveva individuato De Michelis per quel ruolo. Nella seconda metà del 2015, però, l’ingegnere comincia a muoversi autonomamente, creando allarme nell’ambiente. È ancora Pagani a rivelare che «lui si sta mettendo in proprio, anziché farlo con Giandomenico lo fanno loro... È un mostro che abbiamo creato noi... poi ho paura che possa diventare un problema».

Il ricatto a Monorchio
La rottura tra Monorchio e De Michelis arriva a provocare l’estromissione dagli incarichi del secondo decisa dal primo. De Michelis vuole essere reintegrato, e si muove in modo tale che ora è scattata l’accusa di estorsione ai danni di Monorchio. Il cui nome compariva, seppure di sfuggita, nelle carte dell’indagine di Firenze sull’Alta velocità, sfociata negli arresti del marzo 2015. A dicembre De Michelis lancia la sfida tramite Pagani: «Io un po’ di cazzi li so (e ride, annotano i carabinieri, ndr )... Siccome sono stato qualche giorno fa a Firenze, no? E quello mi ha detto “ma ingegnere, lei è sicuro di non sapere come stanno queste cose?”... Io dico no, non so niente... Però posso ricordarmi». Pagani aveva già intuito a chi era rivolta la minaccia: «Riferirò, tu parli al nuoro perché suocero intenda». Ma lo aveva avvertito: «Stai attento anche tu, perché... quando si fa il botto ci si può anche finire dentro».

Tuttavia l’ingegnere sembra deciso ad andare avanti. A gennaio va a parlare con un maresciallo dell’Arma a Firenze, e all’uscita confida alla moglie: «Io c’ho una lettera... in cui si spartiscono i lavori... Ci sta scritto che fanno 50 per cento a Sina (Società iniziative nazionali autostradali, ndr ), 30 per cento a Monorchio e 20 per cento a me». In un’altra occasione De Michelis si sfoga contro Monorchio: «Lo voglio vedere in galera». Ieri ci sono finiti tutti e due.