Cronache

Lino Banfi e Papa Francesco, un altro siparietto da italietta

Di Giuseppe Vatinno

Banfi non ha bisogno di legittimarsi col Pontefice: sarebbe simpatico pure se non fosse “amico del Papa”. A Francesco non pare vero calarsi in questi siparietti

Lino Banfi e Papa Francesco, un altro siparietto da italietta

Lino Banfi è un grande comico e la sua arte ha allietato e continua ad allietare gli spettatori con filmetti che non sono capolavori ma hanno il pregio di molcere stress e tensioni.

Tuttavia, da qualche tempo, ha un po’ esagerato con il Papa che, dal canto suo, si presta spesso e volentieri a siparietti nazional – popolari in linea con la sua origine peronista. Intendiamoci, attori e politici tutti puntano a diventare “amici del Papa” cedendo alle umane lusinghe dei propri ego che servono molto nelle rispettive professioni. Ad esempio, per un certo periodo, quando Virginia Raggi era sindaca di Roma, era diventata “amica del Papa” e non ha importanza se la cosa fosse poi vera o no, l’importante è che questo la gente immaginasse. In seguito divenne “amica di Costanzo”, ma si seppe solo dopo la sua scomparsa.

Ora è toccato a Banfi diventare “amico del Papa” e ne approfitta per fare siparietti mediatici, quasi sketch televisivi in cui ci fa sapere che “quando è ‘incavoleto’ mi chiama e lo faccio sorridere”, sottintendendo così che lui ha il numero del cellulare del Papa e viceversa. Insomma un filo diretto con il Mistero dell’Universo e il tutto senza sprecare tempo in esperimenti scientifici che fanno sudare e non sono mai definitivi, come non lo è del resto la Scienza.

Ma si tratta in fondo di una piccola consolazione che poco aggiunge alla notorietà dell’attore.

Banfi non ha bisogno di legittimarsi con il Pontefice. Ci sarebbe simpatico pure se non fosse “amico del Papa”. D’altro canto a Francesco non pare vero di calarsi in questi siparietti nazional – popolari che probabilmente nella sua visione del mondo lo dovrebbero avvicinare alla gente in un’ottica che considera in fondo la Chiesa Universale di Roma come una specie di grande oratorio in cui il Papa – parroco fa degli scherzetti e si intrattiene con il popolo, come se fosse un semplice essere umano e non il rappresentante –almeno così lui dice- di Dio in Terra.

Certamente questo non vuol dire che bisogna tornare ai Papi Re trasportati in sedia gestatoria ma almeno una parvenza di intangibilità e diciamo pure di sacralità ci dovrebbe essere, anche se al minimo sindacale.

Invece sta passando anche qui l’idea che il Papa – Dio sia uno di noi che passeggia di notte per strada, si abbuffa di pizza, vede le partite in Tv (il che è vero essendo tifoso della squadra argentina del San Lorenzo) e –soprattutto- tira dei gran scherzi appunto da prete.

In questa dimensione cinematografica guareschiana di Don Camillo e Peppone è racchiusa la formula del disastro definitivo dell’Occidente.

La Chiesa sta perdendo progressivamente sacralità da quando è scomparso Benedetto XVI.

Il Papa non può essere una macchietta.

Domenica scorsa Francesco ha recitato –come sempre- l’Angelus in latino: sembrava un’altra persona.

Il forte sole che illuminava il sagrato di San Pietro consolava e rafforzava i fedeli.

La sacralità delle parole unite alla sacralità del ruolo restituivano l’immagine di una Chiesa trionfante, una Chiesa di speranza e conforto e non di cabaret.

Se uno vuol farsi quattro risate va al cinema.

E in questo ha buon gioco poi Putin a proporre un modello di Chiesa, quella ortodossa, che conserva l’incredibile potenza della sacralità delle sue icone, del Cristo pantocratore, dei suoi ori e dei suoi simbolismi.

Di questo hanno bisogno i fedeli e non di sketch televisivi.