Cronache
Mafia, massoneria e poteri forti: dopo Falcone e Borsellino ci prova Gratteri
DOPO GIOVANNI FALCONE E PAOLO BORSELLINO SUI RAPPORTI TRA MAFIE, POLITICA E MASSONERIE CI RIPROVA NICOLA GRATTERI
Antonino Caponnetto, capo del pool antimafia di Palermo, mi raccontò che spesso con Giovanni Falcone parlavano dei rapporti tra massoneria e mafia. Questi discorsi divennero presto materiale inquisitorio e poi probatorio nel processo per la strage dell'Addaura, del 21 giugno 1989. Fu con quella tentata strage che si profilò la concreta possibilità di conoscere autori e mandanti istituzionali, associati alla mafia, di un progetto criminale diretto a eliminare alcuni magistrati siciliani, impegnati nella ricerca della verità sui rapporti tra mafia, politica e massoneria.
Un patto che, secondo quanto mi diceva Caponnetto, Tommaso Buscetta nel corso dei vari interrogatori svolti assieme a Falcone, faceva risalire alla fine degli anni sessanta, quando il principe Valerio Borghese strinse un accordo segreto con Cosa Nostra per riportare la destra al potere, stroncando ogni tentativo di rinnovamento avviato in quegli anni con i governi di centro sinistra. Giovanni Falcone cominciò a credere nella pista che legava tra loro mafia, massoneria, politica e servizi segreti, quando indagò su Michele Sindona e dopo che, occupandosi dei corleonesi Luciano Liggio, Bernardo Provenzano e Totò Riina, scoprì “purtroppo” la loggia massonica Camea, che comprendeva industriali, insospettabili professionisti e criminali del calibro di Pierluigi Concutelli (militante neofascista), assassino di Vittorio Occorsio (magistrato antiterrorismo). A mio parere fu quello il periodo in cui Falcone cominciò a morire.
La sua “pericolosità” per il sistema dei “poteri forti” divenne intollerabile quando associò le sue indagini a quelle dei giudici svizzeri Carla Del Ponte e Carlo Lehmann che indagavano sul denaro riciclato da Cosa Nostra in Svizzera. Noi che abbiamo vissuto quel periodo storico ricorderemo che stranamente in quella tentata strage s’inserirono i servizi segreti, che sparsero la voce secondo cui Falcone si era preparato da solo l'attentato per protagonismo e per fare carriera. Sempre Antonino Caponnetto mi disse più volte che quel momento storico produsse effetti devastanti per l'immagine e la credibilità di Giovanni Falcone poiché furono poi rafforzati da una parte della politica e da una parte della stampa e della televisione.
Mass media, politica, massoneria insieme e agli ordini di poteri allora occulti ma oggi più limpidi, fecero passare l'ipotesi che Falcone fosse stato l'ideatore e il mandante di una finta strage che egli avrebbe organizzato a proprio vantaggio per finalità personali e di carriera. Tale ipotesi, che oggi noi sappiamo essere mostruosamente falsa, fu accreditata da una serie di prese di posizione anche da pezzi d’istituzioni, che avevano da qualche tempo sotto tiro il magistrato e non solo lui. Paolo Borsellino indagò più volte sulle collusioni, certamente esistenti, tra Cosa Nostra, poteri massonici, eversione nera e politici al potere. Sappiamo tutti la fine che hanno fatto i due magistrati anche per aver potuto provare che servizi segreti, mafia e politica, con il collante della massoneria, piduista e non, fossero in sinergia per stabilizzare il nostro Paese. Grazie alla sentenza della Seconda sezione della Corte di Cassazione, presieduta da Antonio Esposito, sui fatti dell'Addaura oggi tutti noi sappiamo la verità.
Da quest’assunto, dunque, bisogna ripartire se si vuole rompere il velo di omertà che ancora avvolge il patto scellerato tra mafia, servizi segreti, politici al potere, e massoneria, poiché ad oggi nessuno dei responsabili è mai stato arrestato e punito. Falcone fu assediato da sospetti infondati, propagandati ad arte da mafiosi e loro alleati. Fu addirittura accusato di favorire i mafiosi che collaboravano con lui. Fu inquisito dal Csm, che lo interrogò.
L'accusa era di non avere, nonostante le prove - che non c'erano - arrestato alcuni imprenditori mafiosi. Egli lasciò gli uffici di Palermo e si trasferì a Roma, alla Direzione generale degli affari penali. Nella sua ultima lettera mi scrisse: “Anche io come lei sono convinto che il mio posto sia a Palermo, ma ci sono momenti in cui occorre fare delle scelte e impiegare tutte le energie possibili per la lotta alla mafia. Mi creda il mio non è un abbandono”. Non era per nulla un abbandono poiché il “difetto” di indagare su mafia e massoneria non lo abbandonò neanche da Roma. Sono trascorsi quasi quarant’anni e proprio in questi giorni scopriamo guarda caso dall’audizione di Falcone in Commissione Antimafia dell’epoca che si potrebbe riscrivere una parte della storia del nostro Paese.
Giovanni Falcone riteneva che l’indagine sul delitto Mattarella fosse estremamente complessa perché si trattava di capire se e in quale misura “la pista nera” fosse alternativa rispetto a quella mafiosa, oppure si compenetrasse con quest’ultima. Il che a quei tempi poteva significare saldature tra mafie, massoneria e politica che potevano collegare l’assassinio di Mattarella con quello del magistrato Mario Amato, ucciso a Roma appena sei mesi dopo, il 23 giugno 1980, per mano dei militanti dei Nar. C'è dunque collegamento tra Cosa Nostra e neofascisti e Falcone lo scrive e lo dice.
Sull'ipotesi di una sorta di connessione tra le due organizzazioni il magistrato palermitano nel 1988 ricordava: “i collegamenti risalgono a certi passaggi del golpe Borghese, in cui sicuramente era coinvolta la mafia siciliana”. “Ci sono inoltre collegamenti connessi alla presenza di Sindona”. “Questi elementi comportano la necessità di un’indagine molto approfondita che peraltro stiamo svolgendo, e che prevediamo non si possa esaurire in tempi brevi”. Sappiano tutti quale sorte è stata riservata a Giovanni Falcone. Pochi giorni fa, un altro magistrato, Nicola Gratteri, ha scoperchiato un mondo fatto di un coacervo di relazioni tra ndrangheta, politica e massoneria, cioè professionisti “ben inseriti negli ambienti strategici (giudiziario, forze armate, bancario, ospedaliero e via dicendo)”.
Gratteri è un altro “morto che cammina”, si apprende dalle intercettazioni fra 'ndranghetisti, accluse proprio a quest’inchiesta. Con 334 arresti, ha certamente colpito una parte di quel sistema di potere che si lega con mafie, corrotti e massoni d’ogni tipo che di certo non starà a guardare. Non assisteremo, credo, al periodo delle stragi ma a qualcosa di più arguto e cioè a una “colonizzazione sociale” voluta che destabilizzi l'opinione pubblica. Saranno emarginati tutti coloro ritenuti scomodi al potere politico-mafioso e, se ciò accadrà, allora non c'è davvero più speranza per questo nostro sciagurato Paese.
(Vincenzo Musacchio, giurista, associato della School of Public Affairs and Administration (SPAA) presso la Reuters University di Newark per il settore del diritto penale e presidente dell’Osservatorio Antimafia del Molise).