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Cronache
Omicidio Murazzi Mechauat doveva stare in galera. Bonafede manda gli ispettori

Omicidio Murazzi, il killer Said Mechauat doveva essere in carcere. Bonafede manda gli ispettori

L’assassino di Stefano Leo, Said Mechauat, doveva essere in carcere quando lo ha ucciso con una coltellata alla gola, lo scorso 23 febbraio. "L'ispettorato del ministero si è attivato con la massima tempestività per verificare quello che è accaduto", ha dichiarato il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede rispondendo a chi gli chiedeva se avrebbe mandato gli ispettori del ministero dopo l'omicidio del giovane Stefano Leo.

Il movente dell'omicidio resta ancora poco chiaro, l’assassino ha confessato di averlo ucciso perchè “lo vedevo felice e sorridente mentre io ero triste e depresso”. Ma c’è anche un’altra ipotesi: lo scambio di persona. Pare che Stefano Leo somigliasse al nuovo fidanzato della sua ex compagna, con la quale Said ha avuto un figlio. Da quanto si apprende nelle ultime ore, la tragedia si poteva evitare, perchè il marocchino 27enne era stato condannato a un anno e sei mesi di carcere per i maltrattamenti all’ex fidanzata, una pena diventata definitiva nel 2018. Gli atti di carcerazione, non si comprende bene per quale motivo, non sono mai stati trasmessi all’ufficio della Procura che avrebbe dovuto rendere esecutiva la condanna. Per questo Said Mechauat era libero.

Molti i precedenti giudiziari dell’assassino di Stefano Leo, oltre a quello di maltrattamento sulla ex compagna. Quand’era ancora un ragazzino aveva commesso una rapina e aveva ottenuto il cosiddetto “perdono giudiziale”, in base al quale per un minore fino ad allora incensurato si prevede l’estinzione della pena. Subito dopo aver compiuto 18 anni, poi, aveva avuto problemi a Milano, accusato di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. E poi nel 2014 l’ex compagna l’aveva denunciato per maltrattamenti, dopo che svariate volte.

 

 Omicidio Murazzi, Corte d'Appello: "Said non in carcere per carenze cancelleria"

"Anch'io ho un figlio e se questa tragedia fosse successa a me sarei mortificato". Trattiene a stento le lacrime il presidente della Corte d'Appello di Torino, Edoardo Barelli Innocenzi, che stamattina ha incontrato i giornalisti per spiegare se davvero Said Mechaquat, il 27enne assassino di Stefano Leo, doveva trovarsi in carcere e non libero di uccidere. "Il cancelliere aveva il fascicolo di Said e altri mille fascicoli. Prima di quella sentenza ce n'erano altre con condanne oltre i tre anni, per le quali sicuramente si va in carcere. È vero, nel caso di Said la sospensione della pena non c'era e l'ordine di carcerazione doveva essere emesso, ma se negli uffici c'è carenza di personale non è solo colpa nostra. Sono qui a prendermi pesci in faccia - ha aggiunto Barelli Innocenzi - ma non scrivete che è solo colpa dei magistrati.

Stiamo facendo il possibile per ridurre l'arretrato, non è colpa nostra se i servizi di cancelleria sono carenti". Nel 2015 Said Mechaquat è stato condannato, senza sospensione condizionale della pena, a 1 anno e 6 mesi di carcere per maltrattamenti in famiglia ai danni dell’ex compagna. La sentenza è diventata definitiva nel maggio 2018, dopo che l’appello proposto dall’avvocato del 27enne, Basilio Foti, è stato respinto perché ritenuto inammissibile. La sentenza avrebbe quindi dovuta essere eseguita e il ragazzo avrebbe dovuto essere arrestato e incarcerato.

Ció non si è verificato per un ritardo nella trasmissione della sentenza definitiva da parte della cancelleria della Corte d’Appello (che di norma deve avvenire entro cinque giorni), con la Procura che, di conseguenza, non ha potuto emettere l'ordine di carcerazione. "Potete prendervela con noi - ha aggiunto Barelli Innocenzi rivolgendosi ai giornalisti - ma non è solo colpa nostra. Vengano gli ispettori a vedere in che condizioni lavoriamo". Intanto, l'avvocato della famiglia di Stefano Leo, Nicoló Ferraris, ha chiesto a Barelli Innocenzi un incontro. "Di certo andró a quell'incontro", ha detto il presidente della Corte d'Appello. 

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