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'Dopo l'innocenza', il viaggio disincantato e romantico di Bruno Nacci

Siamo stati tutti innocenti, forse, una volta. Oppure no?

Siamo stati tutti innocenti, forse, una volta. Oppure no? Abituati a pensare l’innocenza come l’assenza di colpe materiali (non rubo, non uccido e via dicendo) troppo spesso dimentichiamo che in realtà si tratta piuttosto di una condizione esistenziale che tutti, prima o poi, travolti dallo scorrere della vita, in maniera consapevole o meno abbandoniamo. Quando? Chissà. Da bambini quando scopriamo che Babbo Natale non è che il nonno mascherato o da grandi, di fronte a un grande dolore, una scelta difficile, un sentimento forte o un semplice racconto. Si può perdere l’innocenza in un attimo, spesso senza rendersene conto. Bruno Nacci in ognuno dei racconti della nuova raccolta “Dopo l’innocenza” (Solfanelli 2019) ha fermato quell’attimo accompagnandoci in un viaggio disincantato ma a tratti romantico.

Dopo l’innocenza. Da cosa nasce questa raccolta di racconti?

«Il titolo allude a una condizione che nessuno sa di vivere, e non a caso viene riferita quasi esclusivamente all’infanzia o a certe forme di pazzia. L’innocenza, come la grazia intesa in senso teologico, sembra essere uno stato in cui l’individuo fa quello che fa senza esserne pienamente  consapevole e al tempo stesso senza alcuna intenzione negativa. I personaggi di questi racconti abbandonano a un tratto la loro vita precedente per perdersi in un labirinto pericoloso: un avvocato che decide di passare la linea che divide il corretto esercizio della professione dal suo uso criminale; un giovane meccanico e calciatore che s’innamora di una donna di un ceto superiore; una ragazzina che vive la separazione dei genitori cercando la fuga nell’anoressia e nella droga; un transessuale che incontra un vecchio compagno di scuola a cui racconta la sua vita; un intellettuale che s’innamora di una ex allieva che non vede da molti anni e intreccia con lei una relazione che  rivela l’abisso tra le loro due vite; un ex rabbino e teologo stimato che lentamente sprofonda nel degrado».

Che cosa c’è dopo l’innocenza?

«Potrei dire semplicemente: la vita. Come Adamo ed Eva, che perdono l’innocenza per entrare nella storia, con le sue contraddizioni e i suoi dolori, così il bambino che diventa adulto o l’adulto che subisce il capovolgimento della vita precedente, tranquilla e scontata, per affrontare il mare in tempesta di situazioni dure, pericolose, a cui prima non aveva mai pensato».

Si parla, per esempio, anche di Facebook. La società contemporanea è stata una fonte di ispirazione?

«Non potrebbe essere diversamente. Chi scrive, anche se ambienta un romanzo o un racconto al tempo dell’antico Egitto, scrive sempre al cospetto del proprio tempo, cercando più o meno inconsciamente di rintracciare le cause di quello che è diventato lui stesso e la società, oppure traendo conforto o sconforto dal paragonare stili di vita che sembrano del tutto opposti e invece si rivelano profondamente simili. L’essere umano muta nel corso del tempo, non ci sono dubbi, chattare ad esempio è qualcosa di impensabile fino a vent’anni fa, ed è destinato a trasformare le nostre vite e il modo in cui ci parliamo, ma al fondo c’è sempre l’antico riflesso della parola che chiede di essere comunicata e scambiata con altre. I racconti registrano questo permanere ma anche gli smottamenti, le frastagliate avventure che ogni volta dobbiamo aspettarci».

E dopo questo libro, altri progetti all’orizzonte?

«In marzo uscirà il nuovo romanzo scritto con Laura Bosio, e poi altri racconti, anche se molto diversi da questi, che affronteranno il tema di grandi figure storiche colte quando non erano più o non erano ancora ciò per cui le ricordiamo e hanno modificato il corso degli eventi. Che di nuovo tratta di un tema centrale che mi ha sempre affascinato, quello della metamorfosi, dell’incessante rompere gli equilibri da parte dell’essere umano, per citare Pascal: “Quest’uomo nato per conoscere l’universo, per giudicare ogni cosa, per reggere uno Stato, eccolo occupato e assorbito dal prendere una lepre. Ma se non si abbassa a ciò e vuole rimanere sempre teso, sarà solo più stupido, perché vorrà elevarsi al di sopra dell’umanità e in fondo non è che un uomo, capace di poco e di molto, di tutto e di niente. Non è un angelo, né una bestia, ma un uomo”».

Bruno Nacci ha curato numerosi classici della letteratura francese, da Chamfort, Laclos e Chateaubriand a Balzac, Hugo, Nerval, Flaubert e Baudelaire, in particolare si è occupato di Blaise Pascal, di cui ha tradotto tra l’altro i Pensieri (Garzanti 1994; nuova edizione Utet 2014) e gli Scritti sulla grazia (Vita e Pensiero 2000), e ne ha scritto la biografia La quarta vigilia. Gli ultimi anni di Blaise Pascal (La scuola di Pitagora 2014). Ha ricostruito sui documenti un fatto di cronaca nera dell’Ottocento L’assassinio della Signora di Praslin (Archinto 2000). Con Laura Bosio ha curato l’antologia degli scritti di Luigi Pozzoli, Quel poco di fede che mi porto dentro (Paoline 2012); Da un’altra Italia. 63 lettere, diari, testimonianze sul carattere degli italiani (Utet 2014) e scritto il romanzo storico Per seguire la mia stella (Guanda 2017). Ha pubblicato per le Edizioni Solfanelli le raccolte di racconti La vita a pezzi (Chieti 2018) e Dopo l'innocenza (Chieti 2019). È studioso di Giorgio Vigolo, di cui ha edito le prose degli anni Venti, e della teoria della traduzione in Giacomo Leopardi.