Culture
I testamenti celebri da Cavour ai nostri giorni in mostra a Torino
La mostra è stata allestita presso la sede dell’Archivio di Stato
Organizzata dall’Agenzia delle entrate, e in collaborazione con il Consiglio Nazionale del Notariato, è in corso a Torino presso la sede dell’Archivio di Stato, una mostra denominata “Chiamati all’eredità. L’evoluzione della dichiarazione di successione dalla carta al digitale”. La mostra, che resterà aperta fino al 18 gennaio 2018, ripercorre la storia della tassazione relativa alla successione ed espone una serie di documenti, ai quali sono aggiunti strumenti di rilevazione cartografica del territorio. Si tratta, come viene sostenuto dagli organizzatori, di un viaggio nella storia d’Italia attraverso testamenti di personaggi illustri, emblematici per comprendere la loro volontà nella trasmissione giuridica dei loro beni.
Oggetto della mostra è una ricca raccolta di testamenti, che – già conosciuti da diversi anni – permettono di capire l’evoluzione del costume e le personalità più insigni che caratterizzano la storia italiana dall’Unità ai nostri giorni. Non sempre esse trasferiscono le loro ricchezze ai familiari più vicini, ma spesso le lasciano a biblioteche, ad ospedali e orfanotrofi con lo scopo di aiutare i più bisognosi. Emblematico il caso di Camillo Benso conte di Cavour (1810-1861), che nel proprio testamento lascia una cospicua somma alla città di Torino per costruire un asilo pubblico nella zona più malfamata dell’epoca, il quartiere di Portanuova. Una somma viene destinata anche ai suoi più fedeli collaboratori, dal segretario personale al cameriere fino al mastro di casa.
Il generale Alfonso La Marmora lascia invece “500 azioni della Banca Nazionale a sollievo dei poveri del Comune di Biella e le 50 mille lire di rendita del consolidato a sollievo dei poveri del Comune di Torino”. Il poeta dialettale Giuseppe Gioachino Belli (1791-1863) destina le proprie opere alle biblioteche pubbliche, donando i suoi sonetti autografi e le sue lettere (oltre cinquemila fogli) alla Biblioteca Nazionale di Roma. Di diverso tenore è quello di Alessandro Manzoni (1785-1873), che per evitare litigi tra i figli ed eredi stabilisce: “Ritenuto che la gestione tenuta per mio conto da mio figlio Pierluigi non ebbe mai per base un mandato di procura, ma si fondava totalmente nella scambievole fiducia e buona fede, sicché egli, anche per mia volontà, non ha mai potuto credersi in obbligo d’attenersi a modalità di forme, intendo che esso Pierluigi non possa dai miei eredi essere molestato, né essere obbligato a rendiconto per gli atti qualunque di detta sua gestione”.
Nel testamento di Giuseppe Garibaldi, compilato a Caprera il 2 luglio 1881, un anno prima della sua morte, si chiede di essere cremato “vestito con la camicia rossa, volto scoperto e piedi all’asta”. Nel 1900 Giuseppe Verdi, prossimo alla morte (morirà l’anno successivo) dispone nel suo testamento che i suoi beni siano divisi tra gli istituti di beneficenza: 20 mila lire agli Asili Centrali e 10mila lire a ciascuno degli istituti dei cosiddetti “Rachitici”, dei “Sordo Muti” e dei “Ciechi” di Genova. Per il suo paese nativo Busseto e per quello vicino Villanova sull'Arda concede una somma destinata alla cura dell’Ospedale, degli Asili e del Monte di Pietà. Per i poveri destina una pensione annuale con lo scopo di concedere trenta lire il 10 novembre di ogni anno. Per l’Opera Pia Casa di Riposo dei musicisti, costruita su sua iniziativa a Milano, lascia in dono 75 mila lire di rendita, i quadri e i diritti d’autore delle sue opere e il famoso pianoforte Erard.
Nel definire le sue ultime volontà, Luigi Pirandello (1867-1936) compone quasi una poesia in un foglio da lettere: “Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiere, non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Nè annunzi nè partecipazioni. Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso. Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, nè parenti nè amici. Bruciatemi. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi. E il mio corpo, appena arso, sia lasciato disperdere, perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me”. In esposizione troviamo il testamento di Gabriele d’Annunzio, che lascia i suoi beni al Vittoriale degli Italiani per tramandare le sue opere con lo scopo di renderle accessibile a tutti.
La cantante lirica e attrice Lina Cavalieri (1874-1944), definita da d’Annunzio “la massima testimonianza di Venere in terra”, dispone nel 1940 che sia versata la somma di 100mila lire alla Reale Accademia di Santa Cecilia di Roma con lo scopo di istituire una borsa di studio per una giovane bisognosa. Impressionante il testamento dell’editore ebreo Angelo Fortunato Formiggini (1878-1938), fondatore dell’omonima casa editrice e promotore dei famosi “medaglioni” sui personaggi illustri, che dopo la promulgazione delle leggi razziali si tolse la vita lanciandosi nel vuoto dalla cima della Ghirlandina, la famosa torre del Duomo di Modena. La lettera, datata 29 novembre 1938 e destinata alla figlia, riassume così la sua volontà: “Viaggio triste ieri, per averti lasciato per sempre”. Improntato ai rapporti filiali è il testamento di Maria Montessori (1870-1952), che riconosce il figlio segreto – già abbandonato dopo il parto e riammesso nella sua vita poco prima della morte – stimolandolo a continuare la sua attività nell’ambito della pedagogia.
Di diverso tenore sono le disposizioni testamentarie di Enrico De Nicola (1877-1959), il presidente della Repubblica che nel 1947 lascia la somma di 100 mila lire all’Ordine degli Avvocati per premiare il migliore lavoro di diritto penale. Altre somme sono destinate agli orfanotrofi, alle parrocchie e ad altri istituti di beneficienza come asili e ospizi con lo scopo di concedere loro indumenti e altri beni di prima necessità. Nel suo testamento Giorgio Ambrosoli, ucciso a Milano l’11 luglio 1979 scrive parole accorate alla moglie: “È indubbio che pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il Paese”. Nel testamento dell’industriale Enzo Ferrari (1898-1988), promotore del “Cavallino italiano”, si trovano disposizioni precise a favore del figlio: “Con il presente revoco ogni mia precedente disposizione testamentaria. Istituisco erede universale di tutti i miei beni mio figlio Piero Ferrari”.
Nunzio Dell'Erba