"Non respirare" di Elisabetta Pastore (by Frassinelli)
Di Alessandra Peluso
Dialoghi serrati, vicende intessute in una quotidianità che appare per lo più comune, celando nel contempo situazioni drammatiche. La vita di una giovane donna, trentenne, avvocato di giorno e centralinista di notte in una hot line. E a ciò, si aggiunge l’oneroso compito di assistere un fidanzato eroinomane.
Pertanto, una vita complicata e intricata di dolore, solitudine, e per il solo bisogno di sopravvivere, si giunge a perdere la dignità e il senso dell’umano.
“Non respirare” di Elisabetta Pastore, è questo ed è anche altro, offre spunti di riflessione per una narrazione mozzafiato.
Anche Pastore, l’autrice, è un avvocato, e questo libro è il suo primo romanzo segnalato dal “Premio Calvino” nel 2014.
Qui, si parla di gioventù che vive un’epoca corollata di criticità, di sentimenti scambiati per tali, di mancanza di punti di riferimento e relazioni effimere. La vita a volte per la protagonista del romanzo è uno scherzo, una beffa del destino, è lei lo accetta come la soluzione migliore possibile; cura il fidanzato, Marco, il quale la contraccambia con momenti di terrore da vivere e condividere. È sola, è nella totale solitudine che si consuma “non respirare”. Un romanzo da brivido, un racconto come molti, reale, ma spesso suffragato, come se al quotidiano tutto questo non possa appartenere.
«Sono a pezzi. Seduta alla sedia di ferro del visitatore d’ospedale, incastrata tra il letto di Marco e il muro che chiude la stanza. Resto qui come fosse la mia casa, la mia dimora. Non voglio più andarmene, fino a che non mi cacciano» (p. 73). Sembra che Veronica, la protagonista, sia una di quelle donne che accetta passivamente la sua esistenza, come se dovesse scontare una colpa, un fio. È paradossale, forse fatalista, la riflessione della giovane quando dice: «Roma la vedi, te ne innamori, poi scopri che non potrà mai appartenerti se lei non lo decide. Perché tu non le appartieni. Se provi a toccarla senza il suo permesso, ti incenerisce, come una lava cocente» (p. 241).
E così, il lettore legge, trattenendo il respiro, sino a giungere alla conclusione di “non respirare”; ottima per l’appunto la capacità dell’autrice nel creare un intenso pathos.