Premio Strega, scelti i 12 finalisti. L'ennesima occasione persa
Premio Strega, doveva essere la prima edizione del nuovo corso, invece rischia di diventare l'ennesima del vecchio
L'annuncio delle 12 opere selezionate per concorrere al premio Strega 2017, al solito ha suscitato le reazioni più diverse e inconciliabili tra loro. Soddisfatti, cauti, ottimisti, inconsolabili e nostalgici del complottismo. Su una cosa, però, paiono essere tutti d'accordo, sul fatto che la 71esima edizione del premio fondato da Maria Bellonci (la prima presieduta da Giovanni Solimine dopo la morte di Tullio De Mauro) avrebbe dovuto essere la prima edizione del nuovo corso e che invece rischia di diventare l'ennesima del vecchio.
Vissuta, sia alla vigilia che durante le fasi delle votazioni, alla stessa maniera di sempre. "Avevano appena escluso un autore che ho presentato e al quale tenevo veramente molto - spiega un illustre giurato degli Amici della Domenica, uno scrittore finito per tre volte nella cinquina finalista - che subito al telefono si sono fatti vivi, gli addetti al porta a porta di una casa editrice che invece è ancora in corsa e che... ovviamente chiedevano il mio voto".
Le cose stanno così: il premio Strega, il più illustre, vissuto, celebrato e discusso premio letterario italiano, rischia seriamente di implodere se qualcosa di urgente e potente non interverrà a cambiarne definitivamente i connotati, i meccanismi, la sua stessa anima. Parliamo di un premio romano che si gioca in stanze, circoli, abitazioni, attici e redazioni romane, al cui interno va in scena tutta l'arroganza e il cinismo di cui sono capaci gli editori - non solo i grandi - quando vogliono ottenere qualcosa. E quel qualcosa si chiama appunto Strega, un moltiplicatore di copie contro i cui meccanismi ipocriti si sono ribellati - solo per citarne alcuni - Pier Paolo Pasolini e Italo Calvino. Milano conta eccome, ma tutti i giochi si fanno a Roma, il che restituisce al premio il suo primo grande limite: il cortigianesimo.
Tornando al premio Strega 2017 e passando in rassegna la dozzina selezionata dal comitato direttivo, si scorge ad esempio il doppio ruolo in gioco di un uomo elegante, raffinato e sempre sopra le parti come Alberto Rollo, in gara sia come autore con Un'educazione milanese (Manni) sia come direttore editoriale della Baldini&Castoldi (con Malaparte. Morte come me della coppia Monaldi&Sorti): una caduta di stile, hanno commentato i più, ma anche una evidente falla nel regolamento dello Strega. Nulla da obiettare, invece, sulla fattura del romanzo di Rollo, che si candida ad entrare nella cinquina dei finalisti.
Lo Strega anche quest'anno ha rinunciato con eccessiva leggerezza, forse, ad autori come il calabrese Domenico Dara (in corsa con Appunti di meccanica celeste, Nutrimenti), il sassarese Gianni Tetti (in corsa con Grande nudo, Neo), il pugliese Davide Grittani (in corsa con E invece io, Robin - Biblioteca del Vascello), quindi Fabrizio Patriarca (Tokyo transit, 66th and 2nd): tutti romanzi con una forte connotazione linguistica, uno stile molto denso, con una decisa impronta territoriale, che avrebbero messo in luce un nuovo desiderio di raccontare l'Italia e una nuova esigenza stilistica quasi mai rappresentata in casa Bellonci.
La loro presenza avrebbe interpretato un autentico desiderio di cambiamento, come in più occasioni strombazzato dalla Fondazione di via Ruspoli (a Roma), invece si è preferito guardare nuovamente al passato, atterrare sull'asciutto accogliendo in dozzina libri pur meritevoli come Amici per paura di Ferruccio Parazzoli (Sem Libri di Riccardo Cavallero, che annunciandosi al mondo aveva promesso una nuova idea di fare editoria: che dire, diamogli tempo!), come La compagnia delle anime finte di Wanda Marasco (Neri Pozza, alla quarta partecipazione allo Strega: ormai di casa).
Il comitato direttivo del premio, guidato dalla scrittrice Melania G. Mazzucco, ha tutto il diritto di compiere scelte che ritiene congrue e consone allo stato di salute del premio - che sia chiaro -, ciò che invece non appare chiaro è perché si continuino a pronunciare parole come rinnovamento, sperimentazione, coraggio e pulizia etica all'interno dello Strega, quando - a cominciare dalla selezione della dozzina avvenuta poche ore fa all'interno del salone Tempo di Libri a Milano - tutto va nella solita direzione.
Lo Strega è ostaggio di questi meccanismi, e i primi che ne denunciano l'esistenza - editori, scrittori, agenzie letterarie, personaggi e personalità culturali - sono quelli che li alimentano, li ingrassano, li favoriscono con atteggiamenti oscuri e strategie opache. Nel premio Strega i libri - la loro qualità, come sono scritti, con quale ardore e quale sofferenza umana e intellettuale - sono e restano residuali, e fino a quando non si sovvertiranno questi meccanismi quella del ninfeo di Villa Giulia resterà una vuota vetrina mondana.
Va annotata la variazione da 400 a 660 dei giurati che si dovranno esprimere sulle opere in gara, ma come detto da qualche ora è già partita la macchina dei voti (dei pacchetti dei voti) che porterà a una prevedibile tenzone fratricida tra Mondadori (Teresa Ciabatti con La più amata) ed Einaudi (Paolo Cognetti con Le otto montagne): un po' come le campagne elettorali all'italiana, in cui il votante - raggiunto da una promessa che non può rifiutare, tipo pubblicare un libro con una editrice che ha bisogno di sostegno o cose del genere - si tura il naso e assume la più saggia delle decisioni: "tengo famiglia".
Detto ciò, anche quest'anno vinca il migliore. Che, chissà perché, non coincide quasi mai con il giudizio espresso dai lettori.