Culture

L’ultimo film di Sorrentino “Parthenope” è un atto di ribellione all’attualità ipocrita e inutile

di Simone Rosti

Non resta che la bellezza che fa rima con seduzione e libertà. Anche stavolta Sorrentino ha fatto centro!

La bellezza è impersonata da Parthenope (interpretata dalla bravissima Celesta Dalla Porta), una diva predestinata che attraversa la giovinezza godendosela e facendo godere chi la ammira e chi la desidera

 

Anche stavolta Sorrentino dividerà fra detrattori e adulatori. Anche stavolta la poetica assoluta del suo ultimo film Parthenope non sarà facile da assimilare. Siamo di fronte a un’opera complessa, teatrale, trasbordante, metaforica, che si snoda in un racconto destabilizzante. Al centro la bellezza con il suo indicile corollario fatto di sesso, sesso esibito e incesti. La bellezza è impersonata da Parthenope (interpretata dalla bravissima Celesta Dalla Porta), una diva predestinata che attraversa la giovinezza godendosela e facendo godere chi la ammira e chi la desidera (indistintamente amici, artisti, camorristi, prelati), però lei sceglierà di diventare professoressa di antropologia perché la bellezza che lei invece ricerca corre su altri binari scardinando un canovaccio contemporaneo fatto di facili illusioni e visibilità.

“Era già tutto previsto” è la struggente colonna sonora del film che Sorrentino pesca da un Cocciante dimenticato (come aveva fatto con Nada in The Young Pope), e forse era già tutto previsto che la bellissima protagonista attraversasse la Napoli della sua giovinezza lontana anni luce dal politicamente corretto, dove il corteggiamento lo si può ostentare, qui finalmente la bellezza la si può ammirare e “vedere” (alla base dell’antropologia come sostiene il professore interpretato da un incredibile Silvio Orlando), toccare, infrangere, desiderare, qui Sorrentino sembra lanciare un grido di dolore contro un certo perbenismo straccione; una bellezza però che non esenta Parthenope dalle frequentazioni più discutibili, in fondo siamo sempre a Napoli, suggestiva e dannata, dalla quale la protagonista potrà fuggire solo in età adulta riparandosi in una cattedra universitaria di montagna.

L’opera di Sorrentino ci proietta prima negli amori giovanili (“che sono l’illusione della serenità eterna”), poi nei dolore più atroci (come il suicidio del fratello di Parthenope) e infine nella nostalgia fatta solo dal tempo che passa e non, come vogliono farci credere, dalle occasioni mancate e altre banalità sul successo di cui siamo intrisi. Ecco perché, come si dice nel film, “è impossibile essere felici nella città più bella del mondo”. Si racconta una Napoli senza dare giudizi, non si giudicano le persone, si vive e si gode, ci si dispera, ma soprattutto ci si aggrappa ai momenti felici. Morale zero, come sempre nei film di Sorrentino, mai fugaci sentimentalismi.

Infinite le metafore e le esasperazioni grottesche tipiche del cinema di Sorrentino che spiazzano, inquietano e divertono: dallo squallido e icastico cardinale Tesorone che unisce sacro e profano (con l’epica scena del sangue di San Gennaro che non si scioglie mentre la chiesa rotola in assurde superstizioni) all’insegnante di recitazione mascherata, da un grande Buddha di acqua e sale al sesso consumato pubblicamente per suggellare un patto mafioso, dallo scrittore Cheever (uno straordinario Gary Oldman) vecchio e alcolizzato che rifiuta Parthenope perché non la vuole privare un soldo istante della sua giovinezza alla diva napoletana Greta Cool rabbiosa contro la sua città, dal Comandante armatore al finale funambolico di una Napoli in festa di fronte a una Parthenope nel frattempo diventata vecchia (interpretata da Stefania Sandrelli).

La sua bellezza è ormai sfiorita ma lei è vitale perché consapevole che la vita le ha riservato una incredibile cavalcata di emozioni (che attenuano la nostalgia), restano gli scorci magnifici e immanenti di una città che invece è lì ferma, immobile, degradata e bellissima, un perfetto teatro di vita. Attori in stato di grazia, magistralmente diretti da Sorrentino che, se non lo avete ancora capito, è fra i più grandi registi viventi. Un regista che è anche uno scrittore e in questo film sono evidenti le tracce dei sui testi come “Hanno tutti ragione” e “Tony Pagoda e i suoi amici”. Ora spazio ai detrattori che hanno mille pretesti per odiare questo film (pretesti appunto...).

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