Culture
Toscanini, il lato privato oltre la musica. Gli Amici della Scala raccontano
Un Toscanini privato poco conosciuto, cultore di un’amicizia forte e sincera, al di fuori della sua farraginosa vita musicale. Lo svelano gli Amici della Scala
Un Toscanini privato poco conosciuto, cultore di un’amicizia forte e sincera, al di fuori della sua farraginosa vita musicale. Gli Amici della Scala lo svelano grazie alla conversazione con una gentile, minuta, colta e brillante signora, Laura (detta Lalla) Muggiani Celada, ora ultranovantenne, che faceva parte – perché ora non esistono più i protagonisti di questa storia – della famiglia Vercelli, strettamente legata a quella di Toscanini, tanto da formare una famiglia allargata, ma non nel senso in cui questa espressione viene attribuito oggi... Erano due gruppi di persone con una vita in comune in certi periodi dell’anno. Un assoluto accordo di pensieri, idee, concezioni artistiche e familiari. Ecco il racconto
Toscanini e la grande famiglia: così Lalla inizia il racconto familiare:
«L’incontro tra le due famiglie aveva avuto precedenti lontani, risalenti all’infanzia di Carla De Martini e di Lina Borgomanero (mia nonna), poi spose una ad Arturo Toscanini (nonostante la contrarietà della madre, che non vedeva nel giovane Arturo, ancora all’inizio della sua straordinaria avventura musicale, un buon partito) l’altra ad Attilio Vercelli detto "Il Vercellone" per la sua imponente mole.
Io avevo due-tre anni quando la mia mente infantile scoprì intorno un’ampia costellazione di zii: zia Carla, zio Tosca, con i loro figli Walter, Wally, Wanda che si univano alle zie Nini, Totò, Nalda, sorelle di mia mamma (Rita), figlie di Lina e Attilio Vercelli.
Quando cominciai a crescere potevo osservare, assorti in lunghe conversazioni, zio Tosca e il nonno, imprenditore tessile, amante dell’arte non solo musicale ma anche figurativa e teatrale: era amico di Renato Simoni, di Balzan, degli scultori Arrigo Minerbi e Leonardo Bistolfi che divennero anche amici di zio Tosca¹.
Provavo poi curiosità e una certa delusione per non essere ammessa ai racconti e agli aneddoti scolastici di zia Totò e Wanda, compagne di banco alla scuola Manzoni e alle adolescenziali confidenze sentimentali tra Wally e zia Nalda.
L’Isolino o la casa di Cereda in Brianza dei nonni Vercelli erano la serena scenografia di una tranquilla vita di vacanza.
Di questa ampia famiglia il ‘Vercellone’ era un po’ l’organizzatore.»
Continua Lalla:
«Quando zio Tosca decise di dedicare un lungo tranquillo studio a nuove partiture, incaricò il Vercellone di trovare un luogo con due precise caratteristiche: il silenzio tutt’intorno e una grande casa per ospitare le due famiglie. Il Vercellone, che per il suo lavoro viaggiava molto su e giù per l’Italia, lo individuò nel litorale adriatico di Torre Pedrera, con una spiaggia deserta e infinita, occupata solamente da un enorme cubo con porte e finestre che faceva pensare a una casa disegnata da un bambino. Perfetto. Zio Tosca studiava, purtroppo non si sa che cosa, chissà forse Puccini, Catalani, Debussy; nonna Lina e zia Carla si dedicavano all’andamento della casa e alle esigenze della piccola tribù; i ragazzi Walter, Wally, Wanda, Nini, Totò e Nalda alternavano i bagni in mare ai giochi sulla spiaggia inventati dalla mente fervida e talvolta maliziosa di Walter, il più grande nel gruppo al femminile.
Le zie mi hanno raccontato che un giorno zio Tosca, forse per coinvolgere la famiglia nella sua musica, uscì dal suo isolamento con l’idea di organizzare un coro composto dagli allegri giovani che di quello splendido isolamento erano partecipi: un disastro. Solamente zia Nini, che poi fece parte del coro scaligero, riuscì a cavarsela. Non ci fu però, in quell’occasione, nemmeno un accenno di certe sfuriate diventate leggendarie nel mondo musicale.
Il Vercellone aveva nella compagine anche un ruolo diplomatico. Un giorno zia Carla gli confidò che Arturo tardava a ritornare da Parigi e che in giro c’erano certe voci… Il Vercellone non perse tempo, prese il primo treno per Parigi, si precipitò nell’albergo dove alloggiava l’amico e lo mise al corrente delle preoccupazioni della moglie. Zio Tosca, che non sopportava di sapere la sua Carla in ansia, decise un’immediata partenza. I due uomini, come fossero due fuggitivi, fecero in fretta e furia la valigia gettandovi dentro alla rinfusa frac, biancheria, partiture, bacchetta, camicie… La valigia risultò molto pesante, ma il fatto non aveva alcuna importanza. Importante fu il felice ritorno a casa che riservò però una sorpresa all’apertura della valigia: tra la grande confusione di cose diverse spuntò uno specchio a tre ante (quello che stava sul tavolino dell’albergo). Quello specchio – assicura Lalla – giace ancora nel secondo cassetto di un mobile nella casa di vacanza dei Vercelli in Brianza.
Ho poi un ricordo che ancora mi emoziona. Le zie avevano portato me e mia sorella Carla, più piccola, a una pomeridiana di Falstaff, quindi introdotte alla fine dello spettacolo, ancora a lungo applaudito in sala, nel camerino di zio Tosca, al quale Carla, sei anni, ma già intraprendente e piena di interessi, chiese perché le comari chiamavano Befana la signora Quickly. Per lei la Befana era tutt’altra persona. Allora zio Tosca la prese con dolcezza per mano dicendole: "Andiamo a salutare la signora Quickly" e la portò sul palcoscenico. Qui fu sommersa, anche lei, dall’onda di applausi che dalla platea si riversava sui cantanti e soprattutto su zio Tosca. Carla, futura fisica-matematica, non dimenticò mai quella folla esultante, proprio davanti a lei, nel teatro più bello e famoso del mondo.”
Nota
¹: Bistolfi costruì la famosa cappella funebre Toscanini al Monumentale di Milano.