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Culture
Vecchioni: "La velocità ha reso l'esistenza piatta. Non c'è più fame di senso"

Ed è questo il punto perfettamente centrato da Vecchioni. Siamo entrati in una fase convulsa dello sviluppo della società in cui assistiamo a numinosi fenomeni di cambiamento, ma in peggio. Stiamo “perdendo la meravigliosa bellezza delle parole” a scapito dell’immagini, delle emoji, delle fotografie o peggio ancora dei selfie. Ma l’anima ha bisogno di tutte quelle “sfumature” del linguaggio che permettono di fissare il nostro pensiero, di strutturarlo, di chiarirlo, di costruirlo, di modellarlo in funzione dell’ ”altro” in cui il significante e il significato si inseguono tra di loro e costruiscono nella dinamicità il loro rapporto. L’immagine è invece brutale, l’immagine “uccide”, non chiarifica ma spiattella la sua crudezza, la crudezza della realtà. Fondamentale sul tema il saggio del filosofo Walter Benjamin, “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”.

Con l’avvento dei telefonini stiamo regredendo al livello dell’immagine che vince sempre sulla parola, sullo scritto. Non per niente l’immagine è un linguaggio universale che comunica ma non spiega, non interpreta le sfumature della realtà. Solo l’Uomo ha il linguaggio, la scrittura. Il linguaggio –come diceva Wittgenstein- è connesso con la coscienza. Le forme di vita superiore sviluppano un linguaggio sempre più articolato mentre quelle inferiori no. Tra un calamaro e un poeta c’è di mezzo il linguaggio.

E se il simbolo spesso è una forma aggiunta di significato occorre fare attenzione a che non diventi una porta aperta solo sull’immagine, facendo quindi regredire invece che avanzare. E poi Veltroni chiede a Vecchioni di Dio e se c’è un momento preciso in cui l’ha ritrovato. Una domanda pudica nei confronti di un ottantenne già ateo e materialista, che ha “fatto le barricate” della contestazione del ’68. Sorprendentemente l’artista risponde che: «Sì c’è una canzone che lo spiega.

È “La stazione di Zima”. Nasce da Evtuscenko. Io sono in treno con una persona, con qualcuno che è probabilmente Dio. Lui mi dice “vieni con me, ti porto in un posto meraviglioso”. E io rispondo di no. Sono ancora nell’incertezza tra il laico e il sacro. Dico no e scendo alla prima stazione che c’è, Zima. È orribile, c’è un solo vaso di fiori ed una sola luce, che si rompe sempre. Però è la terra e io voglio vivere. Pensavo, come dice Pasternak, che questa vita non è un’anticamera, è già una sala ed è questo l’importante. Voglio vivere prima tutta la vita e poi vediamo se… Ma in quel vediamo c’era già l’idea che non tutto finisse in questa sala.

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roberto vecchioni





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