Economia
Anche l'emiliana Fagioli con Webuild a Cancello per l'Av/Ac "Napoli-Bari"
L'azienda installerà tre ponti ad arco di 80 metri e 2.500 tonnellate ciascuno utilizzando la stessa tecnica di movimentazione per il San Giorgio di Genova
La Fagioli di Sant’Ilario d’Enza realizzerà tre ponti ad arco di ottanta metri ciascuno per la linea ad Alta velocità/capacità “Napoli-Bari”. Si tratta di un’opera in terra che sarà installata in quota, capace di movimentare manufatti pesanti fino a 2.500 tonnellate. Una soluzione ingegneristica che tutti hanno imparato a conoscere seguendo il varo degli impalcati del nuovo Ponte San Giorgio di Genova. E una soluzione che oggi è alla base della costruzione dell’alta velocità ferroviaria che collegherà Napoli a Bari alla quale sta lavorando, insieme al Gruppo Webuild.
«Per il cantiere dell’alta velocità Napoli-Bari -afferma Fabio Belli, amministratore delegato di Fagioli- siamo impegnati nella tratta Napoli-Cancello. Nell’ambito di questo cantiere abbiamo un contratto che prevede la movimentazione e l’installazione di tre ponti ad arco, lunghi circa 80 metri ciascuno». Si tratta di manufatti enormi, che pesano appunto 2.500 tonnellate ognuno, ben oltre le campate del nuovo ponte di Genova, dove è stata utilizzata la stessa tecnica di movimentazione e sollevamento.
«Come a Genova -spiega Belli- prendiamo il manufatto dall’area di prefabbricazione, lo portiamo in posizione e lo solleviamo con i martinetti idraulici». Tutto questo è reso possibile dall’utilizzo di mezzi modulari semoventi in grado di ruotare a 360 gradi e quindi di muoversi anche all’interno di anguste strade cittadine. «Il vantaggio di questo metodo -prosegue l’amministratore delegato di Fagioli- è la modularizzazione dei sistemi di costruzione. La tecnica che abbiamo affinato permette infatti di costruire i grandi manufatti a terra e non più in quota come si faceva un tempo. Gli effetti sono evidenti: i costi sono inferiori, i tempi di lavorazione ridotti, la produttività più alta, ma soprattutto costruire a terra è estremamente più sicuro che farlo in quota. Questo ha un impatto enorme sui lavoratori e sul territorio».
Nella grande opera che porterà l’alta velocità da Napoli fino a Bari, Fagioli è una delle trecento imprese (tra fornitori e subfornitori) che accompagna il Gruppo Webuild. Una squadra costituita al 99% da imprese italiane che riunisce alcune delle eccellenze del paese in tema di ingegneria delle costruzioni. La Fagioli, dal canto suo, si presenta all’appuntamento della Napoli-Bari, una grande opera che promette di rivoluzionare il trasporto al Sud Italia, forte di un’esperienza maturata nel tempo. La società viene fondata nel 1955 con normali attività di trasporto nella Val D’Enza, tra Parma e Reggio Emilia. Negli anni ’60 iniziano i trasporti eccezionali e negli anni ’70 la Fagioli fa il suo ingresso nel settore delle spedizioni internazionali. Dopo la specializzazione nei trasporti eccezionali, si specializza nei grandi sollevamenti e nelle movimentazioni. Sono i primi anni Duemila quando viene acquistata una ditta inglese, leader al mondo nel sistema di sollevamento con i martinetti.
«In questi anni siamo cresciuti in Italia e all’estero -aggiunge Fabio Belli- ed oggi la società fattura oltre 200 milioni di euro con tre hub principali nel mondo: uno in Italia che copre il mercato europeo, Middle East e Nord Africa; uno a Houston per il mercato del Nord America, che vale il 40% del nostro fatturato; e un terzo a Singapore per il South East e Far East».
L’impegno sull’alta velocità Napoli-Bari risponde proprio a queste tecniche innovative di movimentazione e sollevamento dei manufatti che nascono da prassi diffuse soprattutto nel Nord Europa. La movimentazione dei grandi manufatti nasce infatti dall’industria dell’oil and gas e da lì negli ultimi anni è stata trasferita anche all’ingegneria civile. Alle spalle l’impegno e la capacità tecnica di tanti lavoratori, principalmente ingegneri meccanici e civili che vengono impegnati sui grandi progetti.
«In Italia -conclude Belli- non esiste una facoltà universitaria per il nostro lavoro. I nostri lavoratori vengono da alcune delle migliori università italiane, ma il grosso della loro formazione avviene sul campo».