Economia
Banche, dossier Carige verso la chiusura. L'ombra del cavaliere bianco a Bari
Banca popolare Bari vede crescere il rosso in attesa del rinnovo del Cda il 21 luglio. Il presidente Marco Jacobini verso il passo indietro
di Luca Spoldi
e Andrea Deugeni
Banca Carige, sarà la volta buona? In settimana si sono registrati alcuni segnali in merito al possibile, ma al momento ancora non certo, esito positivo della crisi che da tempo attanaglia l’istituto ligure. Per Genova, da un lato l’amministratore delegato di Bper Banca, Alessandro Vandelli, non ha escluso un possibile interesse a patto che si abbia un impatto “neutro” in termini patrimoniali come pre-requisito dall’altro alcune, dall'altro la stessa soluzione potrebbe esser praticata anche da UniCredit sempre a costo zero sul capitale e coinvolgendo Sga.
A maggio l’amministratore delegato del gruppo di piazza Gae Aulenti, Jean Pierre Mustier aveva dichiarato che “se ci dovesse essere una necessità per il sistema bancario italiano, siamo pronti a dare il nostro supporto, con tutti gli altri operatori, su base equa e proporzionale”. Sempre le ultime indiscrezioni hanno riferito dell’avvio di un esame preliminare dei conti di Carige da parte della trentina Cassa Centrale Banca.
Il tutto mentre il governo sembra aver imparato la lezione di Mps e non pare intenzionato a investire direttamente altri capitali dopo i 5,4 miliardi impiegati per salvare l’istituto toscano (che pur apparendo aver voltato pagina continua a valere meno di 1,6 miliardi in borsa). Così l’intervento “pubblico-privato” auspicato anche dal Fondo interbancario di tutela dei depositi resta complicato, anche perché si raffredda l’ipotesi di un coinvolgimento per 100-200 milioni del Credito Sportivo (controllato all’80% dal Tesoro).
Come hanno fatto notare vari analisti, infatti, l’operazione non rientrerebbe in alcun modo nel suo perimetro di attività statutaria (finanziare attività sportive e culturali) e rappresenterebbe una percentuale consistente rispetto al patrimonio (900 milioni), a fronte di un Roe già modesto (circa 2%) e di un portafoglio d’investimenti finora rappresentato solo da titoli di stato italiani per poco più di 1 miliardo di euro.
Ma se la ricapitalizzazione precauzionale resta un’ipotesi lontana e la “cordata” che sta tentando di organizzare il Fitd rimane un puzzle in cui non tutti i pezzi si incastrano a perfezione, chi e come dovrebbe salvare Banca Carige? Il gruppo presieduto da Giorgio Fracalossi sarebbe interessato solo a valutare un intervento in tandem col Fidt che potrebbe intervenire sia tramite lo schema volontario sia quello obbligatorio, il primo convertendo in capitale 312 milioni del bond Tier 2 di Carige sottoscritto alla fine dello scorso anno, il secondo, vista la sentenza favorevole della Corte Ue sulla vicenda Tercas, partecipando per 200 milioni al futuro aumento attingendo a riserve già presenti in cassa che dovranno poi essere riversate dalle banche aderenti nei prossimi anni.
Lo stesso Credito Sportivo potrebbe poi sottoscrivere un nuovo bond tier 2 di Carige, mentre i soci privati a partire dal gruppo Malacalza (27,7% del capitale al momento) potrebbero fare la loro parte per non vedere azzerate le proprie partecipazioni, che appaino comunque destinate a calare. Resterebbe a quel punto solo da definire, dettaglio non da poco, con chi procedere per un’aggregazione, se con Bper Banca o con altri istituti italiani, viste le levate di scudi dei sindacati (e la freddezza di banche e politica) all’ipotesi che Carige possa essere rilevata da un fondo internazionale.
Col caveat che si riesca a trovare una quadratura del cerchio in termini di impatti patrimoniali, che in soldoni vuol dire che Banca Carige dovrà arrivare al “matrimonio” o con una buona dote (quanto meno in termini di garanzie pubbliche) o dopo un’ulteriore pulizia dei conti, cosa che potrebbe far lievitare l’ammontare della ricapitalizzazione necessaria a voltare pagina. Per una crisi che pare comunque avviata ad una conclusione, un’altra sembra entrata nelle sue fasi conclusive.
Banca popolare di Bari ha infatti chiuso il 2018 con un ulteriore crescita della perdita netta consolidata, arrivata a 420,2 milioni dopo la contabilizzazione di ulteriori rettifiche sui crediti per 23 milioni. La versione “definitiva” arriva dopo che dal consuntivo era emerso un rosso di 372,1 milioni, poi “rettificata” in 397,2 milioni. Morale: i requisiti patrimoniali del gruppo che fa capo alla famiglia Jacobini sono crollati poco sopra i minimi richiesti dallo Srep 2018 ovvero al 7,19% per il Cet1 (7,087% il requisito minimo) e al 9,46% per il Total capital ratio.
Al Cda della banca non è rimasto che, “sulla base di un’approfondita analisi del presupposto della continuità aziendale”, ovviamente, varare ennesime “iniziative strategiche” per cercare di rafforzare anche in tempi brevi i coefficienti. In particolare entro metà luglio dovrebbe essere lanciata un’operazione di “capital relief” su un portafoglio di crediti riferiti a privati e Pmi del valore di circa 2,9 miliardi di euro lordi.
In parallelo va avanti la procedura di vendita della Cassa di Orvieto per la quale Popolare Bari avrebbe ricevuto un’offerta vincolante da parte della società di investimento Sri Global di Giulio Gallazzi. Intanto continuano i preparativi in vista dell’assemblea del 21 luglio che dovrà rinnovare il Cda per la quale l’istituto ha predisposto una lista di sei nomi, che però restano riservati. Una scelta quanto meno irrituale, per non dire scarsamente trasparente.
Ma la scarsa trasparenza ha sovente contraddistinto il mondo delle banche popolari italiane, a Bari e non solo. Qualcosa di più si saprà comunque la prossima settimana, visto che la lista dei candidati va depositata (e dunque resa pubblica) entro 10 giorni dall’assemblea. Che la situazione a Bari sia delicata è confermato anche dalle divergenze emerse tra l’amministratore delegato, Vincenzo De Bustis (chiamato a guidare il turnaround della banca) e il presidente Marco Jacobini (la cui sostituzione sarebbe stata caldeggiata dalla Vigilanza di Banca d’Italia).
Al posto di Jacobini sembra difficile possa tornare l’ex vicepresidente Giulio Sapelli, peraltro apprezzato da De Bustis ma anche da Lando Maria Sileoni, leader della Fabi, oltre che in buoni rapporti con la Lega. Considerata ormai “bruciata” anche la candidatura di Vittorio Terzi, già In McKinsey dal 1985 al 2014 come consulente di primarie imprese industriali e istituzioni finanziarie in Italia e Europa dopo una precedente esperienza nella divisione Corporate e Investment Banking di Citigroup.
E’ considerata invece una candidatura credibile quella dell’economista Giovanni Ferri, attuale presidente di Popolare Bari Corporate Finance, che gode di buoni rapporti col segretario generale di Assopopolari, Giuseppe De Lucia Lumeno.
Sullo sfondo resta da capire se troverà facilmente sottoscrittori il previsto aumento di capitale, da varare dopo lo sdoppiamento di Popolare Bari tra attività retail, destinate a rimanere nell’ambito del credito popolare, magari alla guida di un gruppo di istituti meridionali di più piccola dimensione, e attività corporate, che passerebbero sotto una Spa. O se si dovranno ceercare anche per Popolare Bari eventuali “cavalieri bianchi” pronti ad intervenire solo nel caso di doti più o meno robuste, come per Banca Carige.