Economia
Banche, interessi negativi? Ci sono già. Il trucchetto delle spese di giacenza
Gli istituti italiani applicano da tempo costi superiori all’eventuale remunerazione della liquidità presente sui conti correnti
Tenere i propri soldi su un conto corrente non è mai stato un affare, né per i privati né per le azienda, ma l’annuncio dato dal Ceo di Unicredit, Jean-Pierre Mustier, che dal 2020 i correntisti con giacenze da 1 milione di euro in su si vedranno applicati tassi d’interesse negativi ha creato scalpore e prese di posizione come quella di Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, che ha affermato: “Non stiamo assolutamente valutando di applicare tassi negativi ai clienti”. Stessa reazione da Siena, dove il presidente di Mps, Stefania Bariatti, ha spiegato: “Noi non ci abbiamo mai pensato”, aggiungendo “anche altre banche hanno detto che non intendono seguirlo”.
Altri, come Alessandro Vandelli di Bper e Victor Massiah di Ubi Banca hanno messo le mani avanti ponendo però dei paletti: “Non credo che si arriverà a ipotizzare l’utilizzo di tassi negativi su tutta la clientela retail” ha spiegato Vandelli, “non ritengo probabile applicare interessi negativi a clienti individuali privati” gli ha fatto eco Massiah.
Ma come stanno le cose ad oggi per i conti delle grandi e piccole aziende italiane? Certo, dal punto di vista formale sino ad oggi in Italia non sono mai stati applicati tassi d’interesse negativi sulla liquidità in conto corrente, semmai l’interesse applicato sulle somme depositate è ormai di fatto azzerato, valendo non più dello 0,01%, vale a dire 100 euro l’anno ogni milione di euro di giacenza nella migliore delle ipotesi.
Ma, ha ribattuto a ragione lo stesso Mustier, “è una questione semantica, tutte le banche già applicano una commissione sulle liquidità eccedenti le grandi somme”, per cui c’è “molta ipocrisia sul tema”. In media ad oggi tenere attivo un conto corrente produce un costo di 150 euro annui, senza contare tasse e bolli vari, il che sembrerebbe dire che per andare a pari una tesoreria aziendale debba mantenere almeno un milione e mezzo di liquidità sul conto. Peccato che sfogliando la contrattualistica in vigore, si scopre che le banche possono applicare ulteriori costi.
Ad esempio Intesa Sanpaolo prevede una commissione mensile di 33 euro fissi per ogni unità di giacenza pari a 100 mila euro. Il che è del tutto equivalente, in termini di costi, ad applicare un tasso negativo dello 0,033% a fronte dello 0,01% di interessi erogati al cliente medesimo. Con un piccolo dettaglio: che lo 0,033% è su base mensile e dunque vale lo 0,396% annuo, da sottrarre allo 0,01% annuo di interessi riconosciuti, per un effetto complessivamente equivalente a un tasso negativo dello 0,395% annuo, ovvero 3.950 euro all’anno ogni milione di giacenza.
Mps, per contro, sui conti correnti aziendali applica un costo mensile di 19 euro (228 euro annui), cui si aggiungono eventualmente 10 euro al mese (120 euro l’anno) per l’attivazione del servizio di home banking che consente di avere un forfait illimitato di operazioni. Diversamente ogni operazione (che sia l’incasso di un bonifico o il pagamento di uno stipendio, ad esempio) costa 1,5 euro salvo le prime 25 operazioni che nell’arco di ogni trimestre vengono effettuate in filiale.
Anche in questo caso sebbene “semanticamente” non siano interessi negativi, producono lo stesso effetto, visto che l’interesse corrisposto sulla liquidità in giacenza è nullo. Remunerazione pari a zero per i conti dedicati al mondo business anche in casa Banco Bpm, con spese che vanno dai 30 euro forfait (ma con un limite di 30 operazioni gratuite) su base trimestrale, ossia 120 euro annui (e 120 operazioni gratuite), cui si dovranno sommare 1,5 euro per ogni operazione registrata in conto oltre quelle in franchigia e commissioni che variano da 0,5 a 4,5 euro per ogni disposizione di bonifico, a seconda del tipo di bonifico effettuato.
Anche in questo caso vale il concetto che il conto corrente non è più uno strumento di gestione della liquidità, bensì uno strumento che ha un suo costo, ossia sulla cui giacenza viene applicato l’equivalente di un costo d’interesse negativo: è l’impresa che sostiene un costo per “impiegare” il proprio denaro (ad esempio per pagare stipendi, utenze e fornitori vari). Tanto è vero che Ubi Banca definisce il conto corrente un contratto stipulato da un cliente in base al quale la banca “custodisce i suoi risparmi e gestisce il denaro con una serie di servizi (versamenti, prelievi di contanti e pagamenti nei limiti del saldo disponibile)”.
Il tutto a fronte di una remunerazione pari allo 0,001% (10 euro ogni milione di euro) su base annua, a fronte di 12 euro di canone mensile (144 euro annui): come dire che anche se non doveste utilizzare il conto corrente, per andare in pari dovreste mantenere una giacenza di almeno 14,4 milioni ossia che al di sotto di tale livello sulle somme in giacenza si applica, de facto, l’equivalente di un interesse negativo.
L’elenco potrebbe continuare ma questione semantica a parte, dunque, aziende (e privati) che depositano la loro liquidità sui conti correnti da tempo non possono evitare di sostenere un costo netto a fronte di servizi e dunque il metro di giudizio nella scelta di questo o quell’istituto a cui far gestire la propria liquidità dovrà essere la qualità e congruità dei servizi prestati, non certo gli interessi “percepiti” o la “difesa” del capitale.
Per quella semmai, come stanno dicendo da mesi i banchieri, ci sono altri strumenti monetari, dai fondi a servizi di gestione della tesoreria. Che però qualcuno si scandalizzi all’idea di applicare tassi negativi sui conti correnti dopo anni di costi del capitale superiori al ritorno che le banche sono mediamente in grado di ottenere sullo stesso appare davvero singolare o quanto meno frutto di una cattiva informazione.