Economia

Benetton/ Giovani, estero, reshoring:così il gruppo punta al ritorno all'utile

Alla presentazione della nuova “capsule collection” disegnata da Ghali, il Ceo Massimo Renon ha spiegato quali saranno le leve per il ritorno alla redditività

Di Marco Scotti

Benetton Group inizia a risalire la china. Dopo un 2020 drammatico, che si è chiuso con 325 milioni di perdite (che portano il totale a 1,082 miliardi dal 2013 a oggi), l’azienda guidata da Massimo Renon ha annunciato di essere pronta a ripartire. Alla presentazione della nuova “capsule collection” disegnata da Ghali, infatti, l’amministratore delegato ha ostentato ottimismo: “Sicuramente la perdita verrà ridotta rispetto al 2020. E ci sarà un ritorno all’utile molto presto”.

Massimo Renon  CEO Marcolin Group
Il Ceo di Benetton Massimo Renon

I conti dell’azienda hanno avuto bisogno di una mano nei mesi passati: United Colors of Benetton è stata ricapitalizzata per 300 milioni entro il 31 dicembre 2022 attraverso la conversione di un finanziamento da 100 milioni e un ulteriore aumento di capitale da 200 milioni. Nel novembre dello scorso anno, inoltre, a sostegno del piano di rilancio disegnato dallo stesso Renon, è stato anche deliberato un finanziamento infruttifero da 80 milioni.

Come intende ripartire lo storico marchio di Ponzano Veneto? Prima di tutto, ridisegnando la percezione del marchio stesso. Come ha ammesso lo stesso amministratore delegato, infatti, tutti conoscono il brand, ma la considerazione che ne hanno è diversa e non costante. Soprattutto, urge trovare un “grimaldello” per conquistare i giovani. Da qui l’idea della collaborazione con Ghali, rapper meneghino capace di comunicare alle nuove generazioni.

Un altro obiettivo che si è posto Renon – che ha definito il piano industriale la “stella polare” – è quello di tornare a calcare le passerelle e i mercati internazionali, deve essere nuovamente presente in America e in Medio Oriente. Dunque, aumentare la presenza del marchio, senza per questo dover procedere con aperture di negozi che non sempre possono portare – specie nell’immediato – i risultati sperati.

Altro caposaldo, l’efficientamento di alcuni meccanismi distributivi, senza per questo snaturare il posizionamento. “Probabilmente si andrà a erodere sacche di inefficienze che avevamo già prima della pandemia”. C’è anche il tema della marginalità: perché le produzioni vengono spostate da Birmania, Nepal, India, Cina e Bangladesh progressivamente verso il Mediterraneo.

Una scelta necessaria sia perché la logistica del post-Covid non potrà mai più essere come prima, con fabbriche planetarie con costi bassi e margini elevati per i produttori. E poi perché l’incremento dei costi di trasporto rende meno vantaggiosa la delocalizzazione. Senza contare che le istanze di sostenibilità costringono le aziende ad accorciare la filiera.

“Questo incremento di prezzo della logistica – ha detto Renon - lo assorbiamo portando la produzione nel Mediterraneo dove il prezzo medio è più alto ma più basso di quanto avremmo avuto se lo avessimo lasciato lì”.

Altro tema scivoloso è quello dell’incremento delle materie prime. Alla domanda se questo aumento dei costi avrà ripercussioni anche sulla clientela finale, Renon ha risposto in maniera piuttosto netta che non è previsto alcun aumento dei prezzi, mentre semmai si procederà a un riposizionamento di alcuni articoli.

“Abbiamo riscontrato aumenti materie prime come tutti – ha spiegato l’ad -, anche noi abbiamo avuto un impatto ma prima di tutto abbiamo piattaforme di proprietà e secondo abbiamo tessiture e filature e quindi siamo riusciti a gestire e attutire tutto questo”.