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Economia
Benetton sempre più simili agli Agnelli. La strategia per il dopo Genova
LaPresse

Per i Benetton ormai la strategia è chiara: dopo il delisting dell’omonima società di abbigliamento e l’accelerazione della trasformazione da gruppo industriale a gruppo sempre più finanziario, il modello di riferimento appare ormai essere quello già seguito dagli eredi Agnelli con Ifil, ossia crescere sui mercati esteri, procedendo al tempo stesso a valorizzare ogni singolo business non strettamente “core” per poterlo poi eventualmente, cedere al miglior offerente.

Luciano Benetton
 

Esattamente come fecero gli Agnelli facendo rilevare da Fiat Auto il controllo di Chrysler nel 2009 per poi scorporare le attività industriali nel 2011 (poi fuse con Cnh Global per dar vita a Cnh Industrial nel 2013), la Ferrari (2016) e a breve Magneti Marelli (che entro fine mese potrebbe finire a KKR per una cifra attorno a 5,5 miliardi di euro).

Analogamente, i Benetton in Spagna dovrebbero vedere e breve Atlantia (14,4 miliardi di capitalizzazione) rilevare il controllo del gruppo autostradale iberico Abertis, con cui erano stati avviati trattative per una fusione da 45 miliardi di euro fin dal 2006. All’epoca non se ne fece nulla per la contrarietà del governo Prodi, che temeva una vendita mascherata; Abertis è stata poi fatta oggetto di Opa da Hochtief e delistata dalla borsa di Madrid la scorsa estate.

alessandro benetton
 

Un delisting avvenuto dopo che la stessa Hoctief (controllata da Acs) aveva raggiunto un accordo con Atlantia (che inizialmente aveva a sua volta lanciato un’Opas sul gruppo spagnolo) per conferire Abertis stessa ad a un veicolo finanziario (Abertis Participaciones), a sua volta controllato al 100% da Abertis Holdco, holding facente capo ad Atlantia per il 50% più un’azione, ad Acs per il 30% e ad Hoctief per il 20% meno un’azione. Veicolo e holding che sarebbero già stati costituiti in previsione del closing definitivo dell’operazione entro fine mese.

Quanto poi alla valorizzazione e scorporo di singoli business, si guarda alla possibile quotazione (previo scorporo) della controllata americana di Autogrill, HMSHost, che gestisce ristoranti e punti di ristoro in 120 aeroporti in tutto il mondo e che potrebbe valere secondo stime circolate questa estate non meno di 3-3,5 miliardi di dollari (ossia 2,6-3 miliardi di euro), contro una capitalizzazione di mercato corrente di Autogrill di poco superiore ai 2,1 miliardi di euro.

giovanni castellucci
 

Del resto scorporare e quotare separatamente la controllata nordamericana, che lo scorso anno ha registrato ricavi per 2,71 miliardi di dollari (il 52% dei ricavi di tutta Autogrill) e un utile ante imposte di 308 milioni di dollari, potrebbe secondo gli analisti di Equita Sim, dare “più visibilità a una delle parti più attraenti del gruppo, date l’assoluta leadership (stimiamo oltre il 40% di market share), opportunità di crescita e profittabilità”.

Non solo: ritrovandosi in cassa “carta quotata” Autogrill, da tempo alla ricerca di una grande operazione di fusione e acquisizione, potrebbe avere carte migliori da giocare in ottica di possibili combinazioni, come eventualmente quella con Hudson, sottolineano gli analisti. Due piccioni con una fava, insomma, come risultato di un’operazione che secondo gli analisti di Equita Sim, come pure di Mediobanca, avrebbe più senso “se fosse finalizzata a un ulteriore rafforzamento negli Stati Uniti” o per lo meno, secondo gli esperti di Banca Imi, se si trovasse anche un partner per le attività italiane ed europee (come potrebbe essere la francese Elior).

Ma separare i business del Nord America (e degli aeroporti) da quelli europei ed italiani potrebbe anche essere il modo per esporre la merce sullo scaffale in attesa di qualche buona offerta per passare la mano incamerando una lauta plusvalenza (HMSHost venne acquisita nell’ormai lontano 1999 da Autogrill per 929 milioni di euro), un po’ come accaduto col business del duty free, scorporato da Autogrill e quotato in borsa nel 2013 attraverso la newco World Duty Free, di cui il 50,1% in capo ad Autogrill venne venduto due anni dopo agli svizzeri di Dufry per 1,3 miliardi di euro.

la strategia “Agnelli style” si limita ad Autogrill e Atlantia: Edizione, la holding di Ponzano Veneto, tramite la controllata (al 100%) Sintonia ha infatti raggiunto un accordo per la vendita del 20% di ConnecT ad una società interamente controllata da Gic, il fondo sovrano di Singapore. L’operazione segue la cessione di un altro 20% di ConnecT annunciato il 4 ottobre ad un veicolo d’investimento del fondo Abu Dhabi Investment Authority (Adia).

L’acquisto da parte di Gic della quota di ConnecT, società che controlla il 29,9% del capitale di Cellnex, operatore leader nel settore delle torri le telecomunicazioni, con una rete di circa 28.000 impianti in Spagna, Italia, Francia, Svizzera, Olanda e Regno Unito, avverrà sulla base degli stessi termini economici concordati con Adia, equivalenti a quelli con cui Sintonia aveva rilevato il 29,9% di Cellnex da Abertis nel luglio di quest’anno. Una volta completate queste due transazioni, Sintonia resterà azionista di controllo col 60% di ConnecT mentre i due fondi sovrani avranno due quote paritetiche del 20%.

Insieme i tre soci collaboreranno per trasformare ConnecT in una piattaforma d’investimento nel settore europeo delle telecomunicazioni. Gli azionisti di ConnecT si sono inoltre impegnati ad effettuare ulteriori investimenti in ConnecT per 1,5 miliardi a supporto dei piani di sviluppo di Cellnex, quotata dal 2015 sulla borsa di Madrid e con una capitalizzazione corrente di oltre 5 miliardi di euro.

 

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