Benetton, verso l’intesa col governo. Atlantia sotto il 50% di Autostrade - Affaritaliani.it

Economia

Benetton, verso l’intesa col governo. Atlantia sotto il 50% di Autostrade

di Luca Spoldi

Il gruppo di Ponzano Veneto scenderebbe sotto il 50% di Autostrade per l’Italia, accettando una valutazione “a sconto” e oneri miliardari, ma...

Atlantia, il coronavirus riuscirà dove mesi di trattative hanno fallito? L’emergenza coronavirus, abbattendo drasticamente il traffico della rete autostradale italiana, sembra aver contribuito a riportare al tavolo negoziale il gruppo Benetton da una parte e il governo dell’altro con l’obiettivo di trovare un compromesso che consenta di evitare la revoca delle concessioni autostradali di Autostrade per l’Italia, controllata all’88% da Atlantia, mentre Appia Investments, veicolo finanziario controllato da Allianz, ha il 6,94% e il fondo cinese Silk Road Fund il 5%. Queste ultime due quote vennero pagate 1,77 miliardi in tutto sulla base di una valutazione di Aspi, nel 2017, di 14,8 miliardi.

Il possibile compromesso, riferiscono da giorni fonti vicine ai negoziati, verterebbe da un lato sulla concessione di uno sconto medio del 5% dei pedaggi (impatto di circa 200 milioni a valori 2019) e sul pagamento di una penale da circa 2,1 miliardi di euro (secondo fonti citate già a inizio anno dal Corriere della Sera i Benetton erano pronti a pagare 600 milioni di euro per ricostruire il ponte di Genova, 800 per indennizzi ai genovesi e ulteriori 700 milioni di penali), dall’altra su una discesa di Atlantia sotto il 50% del capitale di Aspi e sull’ingresso di Cassa depositi e prestiti e del fondo strutturale F2i (con eventualmente altri operatori di private equity pronti a rilevare piccole quote di minoranza per far quadrare il tutto, se necessario), sulla base di una valutazione “scontata” di circa 12 miliardi.

Un modo per evitare possibili strascichi legali destinati a durare anni in caso di revoca della concessione e connessa richiesta di indennizzo, che dopo la conversione in legge, a inizio marzo, del decreto “Milleproroghe” con le annesse modifiche normative in tema di concessioni, è di fatto calato da 23 a non più di 6-8 miliardi di euro. La cessione di un 46%-48% di quote di Aspi a Cdp e F2i consentirebbe ai Benetton di incassare attorno ai 5,75 miliardi di euro. E’ un prezzo equo?

I 3.020 km della rete autostradale italiana attualmente gestita da Aspi e dalle sue controllate (Traforo del Monte Bianco, Raccordo Autostradale Valle d’Aosta, Tangenziale di Napoli, Autostrade Meridionali e Autostrada Tirrenica) hanno generato nei primi 9 mesi dello scorso anno 2,8 miliardi di ricavi da pedaggio, a fronte di oltre 3,4 miliardi annui registrati in media tra il 2014 e il 2018. Tagliare del 5% i pedaggi vorrebbe dire ridurre a circa 3,2 miliardi l’anno gli incassi, con un effetto sugli utili (oltre 1 miliardo nel 2017, 759 milioni nei primi 9 mesi del 2019) che dipenderà dalla possibilità o meno di tagliare in modo più o meno significativamente i costi (o aumentare nuovamente i pedaggi) in futuro.

Ipotizzando che gli utili si riducano proporzionalmente, scendendo a circa 950 milioni l’anno, la cessione del 48% di Aspi vedrebbe i Benetton rinunciare a circa 455 milioni l’anno di utili pro-quota in favore di Cdp-F2i, che dunque recupererebbero l’investimento dopo circa 12-13 anni, a fronte di una vita residua dell’attuale concessione di 18 anni (scadrà infatti nel 2038). Facendo due calcoli ai Benetton l’accordo converrebbe rispetto alla strada, più incerta, di tentare di farsi pagare 6 o più miliardi di indennizzo.

A fronte di 5,75 miliardi di incasso, equivalente  Atlantia calando al 40% di Aspi vedrebbe infatti ridursi anche la sua quota parte di indebitamento (8,45 miliardi a fine settembre scorso,) a circa 3,4 miliardi (dai 7,4 miliardi attuali) e dovrebbe “finanziare” pro-quota solo 3 dei 7,5 miliardi di investimenti promessi da qui al 2023. Guarda caso se si sommano i 3 miliardi di investimenti ai 2,1 miliardi di penali da pagare e ai 200 milioni di pedaggi a cui rinunciare, si arriva vicino, ma non oltre, la somma che i Benetton incasserebbero, quasi fosse una partita di giro in cui con una mano la famiglia prende, con l’altra restituisce, rimanendo socia di un business altrimenti perso.

Meno soddisfatti sarebbero Allianz e Silk Road Fund, il cui investimento si svaluterebbe ulteriormente rispetto a quanto a suo tempo pagato. Ma anche in questo caso aver evitato una revoca e poter dunque continuare a contare sui futuri flussi di utili (sia pure ridotti dalla limatura dei pedaggi) dovrebbe più che compensare a medio termine l’impatto negativo di breve periodo.

Per Cdp e F2i, infine, sarebbe l’occasione per “blindare” il controllo di un asset strategico per l’Italia investendo in una società di suo redditizia (il ritorno sul capitale proprio, Roe, è stimato valere attorno al 16,3% negli ultimi 12 mesi, il ritorno sul capitale investito, Roi, è stimato intorno al 4,51%, sempre negli ultimi 12 mesi), che ha tuttavia il suo tallone d’Achille in un debito elevato (oltre 8,8 miliardi), su cui paga oneri finanziari per circa 430 milioni l’anno (attorno al 4%) ma che potrebbe risentire di eventuali turbolenze dei mercati creditizi legati proprio alla crisi determinata dall’epidemia di coronavirus.

Un tema delicato sul quale, peraltro, l’azionista di riferimento di Cdp, ossia il governo italiano, ha certamente leve operative e “politiche” molto più consistenti di quelle a disposizione del gruppo di Ponzano Veneto. L’accordo, al di là di qualche ultima limatura, parrebbe dunque conveniente per tutti: in un momento di grande incertezza è quanto basta alla borsa per tirare un primo sospiro di sollievo su Atlantia, che infatti chiude la settimana in ulteriore allungo avendo recuperato dai minimi di metà marzo (9,22 euro) circa il 45%.