Economia

Brembo, Bombassei come Del Vecchio. Cedere il controllo per il sogno M&A

Il gruppo fattura 2,5 mld l’anno in Italia, Germania, Usa e Cina. Una fusione con Wabco, Akebono o Bendix Cvs lascerebbe Bombassei al comando con meno del 50%

Brembo in evidenza a Piazza Affari: dopo aver chiuso i primi tre mesi dell’anno perdendo terreno rispetto all’indice generale del mercato azionario italiano (+16% Brembo, 19% Ftse Mib), oggi il titolo guadagna oltre il 6,5% riportandosi sopra gli 11 euro per azione, peraltro ancora circa un 11% al di sotto dei livelli su cui si trovava 12 mesi fa, con una capitalizzazione che dai 3,45 miliardi di ieri è virtualmente risalita sopra i 3,67 miliardi.

A far correre il titolo sono state le dichiarazioni del presidente Alberto Bombassei che in un’intervista al Sole24Ore si è detto pronto a scendere anche sotto il 50% (dall’attuale 53,52%, oltre al 2,6% posseduto dalla società come azioni proprie) nell'ipotesi di un progetto di aggregazione. Progetto, ha poi chiarito un portavoce del produttore italiano di impianti frenanti, che al momento non esiste ancora. Ma visto che il processo di concentrazione del settore automotive appare inevitabile non solo per i produttori auto ma anche per i loro fornitori, difficilmente quella di Bombassei resterà a lungo solo un’ipotesi teorica.

Cedere il controllo assoluto della propria azienda per garantirsi il ruolo di azionista di riferimento di una realtà più grande è del resto una via pressoché obbligata per un capitalismo come quello italiano cresciuto attorno a poche grandi famiglie e ad una pletora di piccole e medie aziende, molto abili nello sviluppare partnership industriali e commerciali ma non sempre supportate a sufficienza dal sistema bancario per quanto attiene alla dotazione di capitali necessari a fare acquisizioni su larga scala.

Il “sacrificio” è spesso stato ripagato dai risultati ottenuti: ne sa qualcosa Leonardo Del Vecchio, che prima apportò il suo 35% di Beni Stabili a Fonciere des Regoins che poi lanciò una Ops sul 100% dell’immobiliare italiana deliberando inoltre un aumento di capitale riservato a Delfin (la holding di Del Vecchio) che così divenne l’azionista di riferimento dello stesso gruppo francese (da fine 2018 fusosi con la stessa Beni Stabili e ridenominato Covivio) col 28,45%, poi ha concesso il bis fondendo Luxottica (cotrollata al 62%) con Essilor, dando vita a EssilorLuxottica di cui Del Vecchio resta l’azionista di riferimento col 32,5% del capitale (ma con diritti di voto limitati al 31%).

Prima di lui avevano sperimentato con successo la strategia di acquisizione e fusione su scala internazionale gli eredi Agnelli entrando nel capitale di Chrysler sin dal 2008, per poi salire gradualmente sino ad arrivare al 100% e alla fusione tra Fiat Auto Group e Chrysler stessa nel 2014 che dette vita a Fiat Chrysler Automobiles. Del nuovo gruppo la holding di famiglia Exor detiene tuttora il 28,98% (pur avendo il 42,11% dei diritti di voto), avendo lungo il percorso che ha portato alla fusione scorporato le attività industriali, poi confluite in Cnh Industrial (di cui Exor ha il controllo col 26,89% del capitale e il 41,68% dei diritti di voto), quindi la Ferrari (controllata col 22,91% del capitale e il 32,75% dei diritti di voto).

La tentazione di passare da “padre-padrone” ad “azionista di riferimento” in cambio di un salto dimensionale è forte anche dalle parti di Arcore, se è vero come è vero che da tempo la famiglia Berlusconi sta valutando una possibile aggregazione a livello europeo, in particolare sembrerebbe con ProsibienSat.1, per resistere alla crescente concorrenza di provider di contenuti online come Netflix e creare un polo europeo della televisione generalista “free”, anche se Fedele Confalonieri ha messo le mani avanti precisando che l’ipotesi è ancora nelle fasi di valutazione iniziale.

Ma quale potrebbe essere il gruppo per il quale Bombassei sarebbe pronto a scendere sotto la fatidica soglia del 50% più un’azione? Verosimilmente un nome che per giro d’affari e capitalizzazione non fosse troppo distante dai numeri di Brembo, avesse un azionariato sufficientemente variegato da non far emergere un contendente al ruolo di azionista di riferimento e che potesse risultare complementare vuoi per produzione vuoi per distribuzione su base geografica delle vendite.

Brembo fattura circa 2,5 miliardi di euro l’anno, produce impianti frenanti per autovetture (76,8% dei ricavi), motocicli (9,2%) e veicoli commerciali (9,2%) oltre che nelle competizioni (4,8%) ed è particolarmente forte, in termini di ricavi, negli Usa (25,3% delle vendite), in Germania (23%), in Italia (11,7%) e in Cina (11%), oltre che nel Regno Unito (7,8%). Più limitata la presenza in Francia, India, Sud America e Giappone. L’Asia dovrebbe continuare ad essere l’area più “calda” in termini di crescita delle vendite di impianti frenanti nei prossimi anni quindi verosimilmente è lì che si potrebbe concentrare l’attenzione dei Bombassei.

Tra i papabili potrebbero dunque esservi nomi come la statunitense Wabco (2,7 miliardi di dollari di fatturato annuo, per circa il 60% derivante dalle vendite in Europa e per il resto dall’Asia-Pacifico e ulteriori mercati minori), oppure come la giapponese Akebono Brake Industry, 243 miliardi di yen (circa 1,95 miliardi di euro) di fatturato annuo, per circa la metà negli Usa e per un terzo in Giappone. Meno probabile ma non da escludere l’acquisizione di un concorrente di dimensioni leggermente inferiori come la statunitense Bendix Cvs, poco più di 1 miliardo di dollari l’anno di vendite, al momento controllato dal gruppo tedesco Knorr-Bremse (che invece sarebbe un boccone troppo grosso, fatturando nel complesso oltre 6,2 miliardi di euro l’anno).

Luca Spoldi