Economia
Cina, il Pil vola del +18,3% annuo. Ma il confronto è con il "lockdown duro"
Si tratta della crescita più elevata mai registrata in Cina in 30 anni di rilevazioni, ma confronto è con il tonfo storico del -6,8% del primo trimestre 2020
Grazie al confronto con il tonfo storico del -6,8% del primo trimestre 2020, l'economia del Dragone, anche se poco al di sotto delle attese, riprende la sua corsa e incassa da gennaio a marzo del 2021 un aumento del Pil del 18,3% (+19% il consensus degli economisti). Si tratta comunque della crescita più elevata mai registrata in Cina in 30 anni di rilevazioni (dal 1992) che segue il crollo dell'economia nel corso del 2020 (comunque positiva a fine anno: +2,3%) a causa dell'esplosione della pandemia specialmente nel primo trimestre dello scorso anno, quando il Covid-19 aveva fatto capolino durante il periodo del Capodanno cinese a Wuhan, prima di diffondersi poi dalla regione in tutto il mondo. Secondo i dati forniti dall'Ufficio nazionale di statistica di Pechino, in termini congiunturali, la crescita è dello 0,6%.
Il consolidamento della domanda interna ed estera, oltre che le continue misure di sostegno fornite dal governo centrale alle piccole imprese hanno sostenuto la ripresa. Ma l'espansione, pesantemente alterata dal crollo delle attività di un anno fa, dovrebbe moderarsi nel corso di quest'anno dopo un aumento del 6,5% registrato nel quarto trimestre dello scorso anno, mentre il governo cerca di contenere i rischi finanziari in settori surriscaldati dell’economia.
La forza della domanda interna è registrata dal boom anche a marzo delle vendite al dettaglio che sono balzate del 34,2% su base annua, facendo meglio del rialzo pari a +28% atteso dal consensus. Dall'inizio del 2021, il dato è volato del 33,9%, meglio del +31,7% stimato e quasi invariato rispetto al precedente +33,8% registrato per i mesi di gennaio e febbraio scorsi.
Ma gli investimenti fissi hanno segnato una crescita del 25,6% nei primi tre mesi del 2021, in rallentamento rispetto al 35% di crescita del periodo gennaio-febbraio. Come anche la produzione industriale: sempre a marzo è cresciuta su base annua del 14,1%, meno del +18% atteso dal consensus. Dall'inizio dell'anno, il dato ha segnato una crescita pari a +24,5%, rispetto al +26,5% stimato e in decelerazione rispetto al precedente balzo del 35,1%. Segno che l’espansione in Cina sta perdendo un pò di slancio.
Nonostante i dati confermino la ripresa delle attività economiche, infatti l'Ufficio Nazionale di Statistica di Pechino ha invitato alla cautela. "Lo scenario internazionale è complicato da elevate incertezze e instabilità", ha dichiarato il portavoce, Liu Aihua, e "le fondamenta della ripresa economica interna non sono ancora solide".
Il Fondo Monetario Internazionale ha stimato che nel 2021 la Cina crescerà dell’8,4%, ma la previsione è molto al di sopra del prudente target fissato il mese scorso dal primo ministro del Dragone Li Keqiang secondo cui l’aumento del prodotto interno lordo si fisserà al di sopra del 6%, con l'obiettivo di creare 11 milioni di nuovi posti di lavoro.
“Questo segno positivo era atteso, direi quasi scontato, a conferma della reazione “postbellica” alla crisi scatenata dalla pandemia. Quello che sorprende non è il trend ma la sua entità", commenta invece Mario Boselli, presidente della Fondazione Italia Cina. "La forzata chiusura ha spinto i consumatori cinesi a “scatenarsi” negli acquisti sul mercato interno e il revenge shopping è esploso tra persone limitate nei viaggi all’estero per lavoro e soprattutto per turismo, costrette a restare blindate nel proprio Paese. Questo sicuramente non ha effetti positivi per il sistema retail in Italia - specie in settori come quelli del lusso, della moda e del lifestyle - danneggiati dai negozi chiusi e dall’assenza di compratori stranieri, ma c’è comunque un altro lato della medaglia. Gli acquisti che venivano fatti nelle vie italiane dello shopping ora avvengono in gran parte direttamente in Cina, nei negozi, nei grandi magazzini ma anche attraverso i canali e-commerce. E la possibilità per i nostri brand internazionalmente conosciuti di esportare più di prima nel Paese asiatico fa bene non solo a loro ma anche alle filiere della sottofornitura, che diventano così esportatori indiretti", dice Boselli.