Economia

Confindustria-Srm: lenta la risalita del Sud, occorre puntare sulle imprese.

Eduardo Cagnazzi

Lo rileva Check Up Mezzogiorno, il tradizionale studio sull'economia meridionale. Moderata la crescita ma i valori restano lontani da quelli prima della crisi.

L’economia del Mezzogiorno prosegue nella sua lenta ma costante risalita, ma il ritmo con cui i valori pre-crisi vengono recuperati è ancora contenuto. Anzi, si registra qualche rischio di rallentamento. Cosi, il Check Up Mezzogiorno, il tradizionale studio di luglio curato da Confindustria e Srm,  Studi e Ricerche per il Mezzogiorno del Gruppo Intesa Sanpaolo, fotografa la situazione socio economica e produttiva delle regioni meridionali. Per il secondo anno consecutivo, tutti e cinque gli indicatori che compongono l’indice sintetico dell’economia meridionale relativi a ricchezza prodotta, livelli occupazionali, numero delle imprese, export e investimenti sono positivi. L’Indice registra un’accelerazione nel 2017 (+15 punti), ma rimane ancora di 40 punti al di sotto del valore pre-crisi del 2007. Il Pil 2017 conferma la previsione di una moderata crescita (+1,4%), che consente al Mezzogiorno di tenere il passo con il resto del Paese: la fiducia si mantiene elevata e le previsioni per il 2018 (+1,1%) confermano tale tendenza, ma con un andamento leggermente più contenuto. I principali segnali di vitalità vengono dalle imprese il cui numero continua ad aumentare (9mila in più). Cresce il numero delle imprese in rete (sono ormai quasi 7mila) e quello delle Start Up Innovative (oltre 2.100). Alle 190 mila imprese giovanili, iniziano ad aggiungersi quelle finanziate da “Resto al Sud”, il nuovo strumento di promozione d’impresa per i giovani meridionali con oltre 3.500 domande di incentivo presentate in pochi mesi. Resta moderatamente positivo anche l’andamento dell’export (+3,7% nel primo trimestre 2018), grazie ai settori mezzi di trasporto e agroalimentare, ma la sua crescita non è sufficiente ad invertire il dato di una bilancia commerciale sfavorevole. Ciò nonostante, i risultati, in termini di incremento del valore aggiunto, sono migliori per le aziende meridionali rispetto a quelli del resto del Paese, in particolare nell’industria in senso stretto (+4,4%). Elementi positivi ma anche possibili criticità caratterizzano il credito: migliora l’affidabilità creditizia e per la prima volta tornano a calare in maniera robusta le sofferenze, scese in un anno di circa ¼. Calano in maniera altrettanto brusca anche gli impieghi, segno di una tendenza strutturale alla selettività degli affidamenti ma anche di un’offerta di credito che, a dieci anni dall’inizio della crisi, stenta a seguire la domanda, in particolare quella delle imprese. Segnali in chiaroscuro vengono dal lavoro. Rispetto ad un anno fa, si registrano circa 60 mila occupati in più, ma non sono omogeneamente distribuiti sul territorio meridionale: un giovane meridionale su due non lavora, e oltre 1/3 di loro non lavora e non studia. I posti di lavoro da recuperare rispetto ai livelli pre-crisi sono ancora 400mila, e il disagio sociale resta dunque elevato, così come l’incidenza della povertà (19,7%). Minore ricchezza disponibile significa minori consumi, cosicché la spesa media mensile delle famiglie meridionali è di 800 euro più bassa di quella delle famiglie del Nord: sensibilmente più bassa è, in particolare, la spesa per trasporti, per la salute, per spettacoli e cultura.

Ancora dal lato delle imprese, invece, gli investimenti in impianti e attrezzature tornano a crescere (in particolare nell’industria, +40%), sostenuti da efficaci strumenti di agevolazione come il credito d’imposta per gli investimenti Sud, che grazie a 2,2 miliardi di incentivo ha promosso investimenti per 6,4 miliardi di euro, pur restando ben lontani dai livelli pre-crisi. Gli investimenti strumentali crescono anche nell’edilizia (+17,2%), che resta però il settore dell’economia meridionale che più ha sofferto gli effetti della crisi, avendo perduto oltre 26 mila aziende, in particolare nella classe tra 10 e 49 addetti, nella quale una impresa su due ha chiuso i battenti. Le imprese rimaste sul mercato sono più solide e profittevoli, ma i segnali positivi restano molto deboli (nel 2016 il numero delle imprese cresce solo dello 0,4%).Secondo gli analisti di Confindustria e Srm, lo scenario è penalizzato da una spesa pubblica per investimenti che resta ai minimi degli ultimi anni (dai 22 miliardi di euro l’anno del 2009 ai 13 stimati per il 2016), sia per problemi di finanza pubblica, sia per difficoltà amministrative e di capacità progettuale. Ancora basso è, in particolare, il contributo della spesa della politica di coesione, comunitaria e nazionale. Entro fine anno, la spesa dei fondi europei da certificare al Sud ammonta a 3,4 miliardi, ma la spesa effettiva è ancora ferma a poco meno di 1 miliardo di euro.

L’accelerazione dell’utilizzo delle risorse nazionali e comunitarie per la coesione è dunque fondamentale per accompagnare i segnali di vitalità delle imprese, migliorando la competitività delle regioni meridionali (tutte nella parte bassa della classifica europea). Un robusto investimento infrastrutturale potrà infatti consentire non solo di ridurre i divari e costruire occasioni di lavoro e di crescita, ma al tempo stesso, favorire la ripresa del comparto delle costruzioni, l’ultimo ad agganciare la ripresa. Per superare le difficoltà che ostacolano tale accelerazione, è necessario uno sforzo straordinario per rafforzare le competenze della Pubblica Amministrazione del Mezzogiorno, salvaguardando gli strumenti che hanno dato buona prova di sé, e ponendo di nuovo la questione industriale al centro dell’azione economica per il Sud.

Per Massimo Deandreis (nella foto), direttore generale di Srm, è il tempo di investire e di credere nel Mezzogiorno come elemento chiave per la ripresa del Paese. “Da Check-Up emerge infatti un Mezzogiorno in cui la crescita economica è sostenuta soprattutto da cinque settori: automotive, aerospazio, agroalimentare, abbigliamento e farmaceutica, dove il Sud ha una marcata specializzazione (44% di V.A. manifatturiero contro la media italiana del 31%) con imprese pienamente inserite nelle filiere nazionali. Il Mezzogiorno si scopre così anche “fornitore” con un commercio interregionale in uscita verso Centro-Nord che per i cinque settori è pari a 21 miliardi, valore quasi uguale all’export. Se aggiungiamo le potenzialità del Mezzogiorno di essere un hub energetico, logistico e portuale nel cuore di un Mediterraneo che, grazie a Suez sempre più strategico nelle rotte globali, si comprende che le opportunità di sviluppo ci sono tutte”.