Economia

"Dazi al 25% sulle auto? Trump gioca con la politica dei ricatti. Ecco perché Tesla non sarà immune alla crisi"

I dazi al 25% annunciati da Trump mettono sottosopra i mercati finanziari. A essere colpito soprattutto il settore automotive. Come leggere la mossa del tycoon? Ne abbiamo parlato con Fabrizio Ricci, partner Kpmg e head of automotive

di Marta Barbera

I dazi al 25% terremotano il settore automotive. Effetti e conseguenze: intervista a Fabrizio Ricci (Kpmg) 

"La logica stop & go dell’Amministrazione Usa può creare un clima di incertezza. Quello che invece è certo è che i brand dell’automotive rischiano di soffrire per un aumento dei costi". Così Fabrizio Ricci, partner Kpmg e head of automotive della società di consulenza in Italia, commenta con Affaritaliani.it le conseguenze dei dazi al 25% sulle auto annunciati dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Dichiarazioni che hanno messo sottosopra i mercati finanziari di tutta Europa, Stati Uniti e Asia. A essere scosso soprattutto il settore auto: in Borsa l'automotive è letteralmente crollato. Tra le case più colpite: Stellantis, Mercedes, Bmw, Volkswagen, ma anche Porsche. Le nuove tariffe in vigore dal mese prossimo riguarderanno infatti tutte le auto importate negli Usa e prodotte all’estero, e anche una serie di componenti. Il nuovo 25% si aggiungerà a barriere del 2,5% già presenti sulle auto estere e al 25% esistente sugli autocarri.

Secondo Ricci, il terremoto causato dall’annuncio di Trump si propagherà “su tutti i brand dei maggiori colossi automobilistici internazionali. Il settore è figlio di decenni di globalizzazione, flussi di materiali, componenti e prodotti”. Anche se andare a quantificare quelli che saranno gli impatti futuri è un “lavoro complesso”.

Per Ricci sono due, a oggi, i temi sui quali focalizzarsi: il trasferimento degli impianti e la questione componentistica. Se da un lato Trump vuole davvero riportare la produzione auto tutta negli Stati Uniti, bisogna fare i conti con le strutture “che non si costruiscono da un giorno all’altro”, spiega l’analista. “Ampliare o modificare la capacità produttiva di un sito richiede investimenti mirati oltre che tempo”. E in questo intermezzo “le macchine che vengono vendute negli Stati Uniti continuano a essere prodotte in Messico, Canada, Giappone o Germania”.

Ma non solo il prodotto finito, anche la componentistica è in pericolo. Trump sta mettendo a rischio “tutti quei brand che hanno sì una maggiore focalizzazione sulla produzione negli Stati Uniti, ma che comunque importano i loro componenti”. Esemplificativo è il caso Tesla. “A parte i problemi che il colosso dell’automotive guidato da Elon Musk ha avuto nelle ultime settimane con il crollo delle vendite in Europa, l’azienda produce negli Stati Uniti ma usa componenti che provengono da altri Paesi. Quindi sicuramente l’introduzione dei dazi al 25% da parte di Trump genererà un impatto evidente sui costi”.

Tra nuove tariffe e contromisure “è chiaro che l’amministrazione americana stia impostando una politica fuori dai canoni tradizionali della diplomazia per ottenere risultati commerciali. E l’Europa sembra averlo capito: le reazioni di oggi non sono state scomposte, bensì piuttosto prudenti, finalizzate a non compromettere le relazioni. Ora, per capire come si evolverà la situazione, occorre aspettare il 2 aprile”, conclude Ricci. 

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