Economia

"I dazi di Trump sono un autogol: una guerra che danneggia tutti, ma che funziona solo se contro la Cina"

Donald Trump continua la sua offensiva commerciale. Ma è davvero intenzionato a scatenare una guerra economica mondiale? L'intervista ad Alberto Forchielli, imprenditore ed esperto di affari internazionali

di Rosa Nasti

"Dazi Usa? Una batosta per tutti". Parla l'esperto di affari internazionali, Alberto Forchielli

"I dazi di Trump? Non sono un grande affare, a meno che non servano a colpire la produzione cinese." Parola di Alberto Forchielli, imprenditore ed esperto di mercati internazionali, che con Affaritaliani.it traccia un quadro nitido delle mosse del tycoon e delle sue minacce commerciali.

L'ultima stoccata? Un rincaro del 25% sulle auto prodotte fuori dagli Stati Uniti. Il presidente non fa sconti e la retorica protezionista della Casa Bianca non dà segni di cedimento. Ma questa stretta è davvero il preludio di una guerra commerciale su scala globale o solo un bluff di Trump? Ecco che cosa ne pensa l'esperto.

Con dazi del 25% Trump sferra un duro colpo all’automotive globale e soprattutto al mercato dell'Ue, già particolarmente  sofferente da oltre un anno. Quali effetti avrà sull’industria?

Sicuramente, un dazio del 25% colpisce l’esportazione di auto europee. Tuttavia, i grandi produttori europei – da Stellantis a Bmw, da Mercedes a Volkswagen – producono tutti in America. Quindi, non so quanto possa essere un danno devastante. Il vero punto è che questo dazio fa più male agli Stati Uniti che agli europei. Trump intende usare i dazi per stimolare la produzione interna, ma allo stesso tempo sta bloccando l’immigrazione. La politica di successo della sua amministrazione è proprio quella di aver fermato l’immigrazione dal Sud America, grazie alla pressione sul governo messicano, che si è messo sulla difensiva. Ma a questo punto, con l’occupazione al massimo negli Stati Uniti, il problema principale per le aziende americane è la manodopera. Se aumentano la produzione interna, chi lavorerà nelle fabbriche? E qui la situazione si complica.

Inoltre, i dazi fanno salire il prezzo delle auto prodotte negli Stati Uniti, poiché molti componenti provengono da Messico, Vietnam, Cina ed Europa. A questo punto gli americani si tirano la zappa sui piedi da soli perchè quando andranno ad esportare, le macchine saranno più care perché i componenti saranno del 25% più cari. È un autogol.

Quindi i dazi non apporterebbero benefici al mercato interno statunitense? E quanto incidono sull’inflazione?

I dazi sono, in pratica, una tassa sui consumatori: sono imposte sulle vendite che stimolano l’inflazione, aumentando i tassi di interesse e comprimendo la produzione. A meno che un paese non sia in difficoltà industriale, con una grande disponibilità di manodopera e in cerca di tecnologia, come accaduto con la Cina o, in passato, con gli Stati Uniti, allora i dazi possono avere senso. Ma, nel contesto attuale, i dazi indiscriminati contro paesi amici o che non adottano politiche protezionistiche sono solo un grande boomerang.

E la Cina? Considerando che Trump aveva già avviato una guerra commerciale con Pechino durante la sua prima presidenza, quali potrebbero essere le nuove implicazioni?

In questo momento con la Cina, Trump è più morbido nelle parole. Ha attaccato i suoi alleati storici, come il Canada, il Messico, il Giappone e l'Europa. Ma sulla Cina ha fatto molti passi indietro, dicendo che forse metterebbe un 10% in più di dazi. In realtà, i dazi veri andrebbero indirizzati alla Cina e gli servirebbero non tanto per aumentare la produzione interna, quanto per proteggere la base industriale e militare degli Stati Uniti.

L’America ha perso molta produzione e in certi settori si trova completamente vulnerabile. Un esempio è quello dei droni: Pechino ha il 100% del mercato mondiale, quindi tutti i droni comprati dall’esercito americano vengono dalla Cina. I droni sono ormai usati in centinaia di applicazioni sofisticate e permettono di monitorare qualsiasi movimento, quindi se il Dragone volesse, potrebbe avere accesso alle operazioni militari americane.

Un altro esempio è l’acciaio: l’America sta perdendo la produzione di acciaio, ma ne ha bisogno per produrre navi militari, come sottomarini e portaerei. In questo caso, i dazi sull’acciaio avrebbero senso per proteggere la base industriale. Gli Stati Uniti hanno un deficit commerciale con la Cina di circa 400 miliardi di dollari, quindi i dazi su Pechino avrebbero una logica, ma non ha senso metterli contro gli alleati.

Ma c'è una strategia dietro questo? Perché attaccare gli alleati anziché i nemici?

Trump vuole ottenere qualcosa da ciascun paese e usa i dazi come minaccia. Non sono sicuro che queste minacce si concretizzeranno, ma l'idea di "picchiare" gli alleati mi sembra di cattivo gusto. Questo mi fa pensare che stia cercando di cambiare alleanze.

Dietro queste promesse c’è davvero l’intenzione di avviare una guerra commerciale globale, o si tratta semplicemente di una tattica negoziale?

Penso che si tratti più di una tattica negoziale. Ho letto ciò che scrivono gli ideologi americani sulle tariffe e dicono chiaramente che vogliono tariffe selettive in casi specifici, come sulle navi. Gli Stati Uniti non costruiscono più navi, ma una flotta di 300 navi militari non si può mantenere senza produzione interna. Se dovessero essere abbattute in guerra, dove le recuperano? Quindi, ha senso mettere i dazi su navi, acciaio, alluminio, droni e altri componenti dalla Cina.

Supponiamo che Trump imponga davvero questi dazi sull’Europa. Secondo lei, come potrebbe rispondere l’Unione? Ha le armi giuste per una risposta simmetrica?

Sì e no. L’Europa ha un avanzo commerciale, quindi riceverebbe più danni di quanto sarebbe in grado di infliggere agli Stati Uniti. Con un avanzo di bilancio di centinaia di miliardi di euro, l’Europa potrebbe rispondere, ma non con la stessa intensità. In ogni caso, questa guerra dei dazi farebbe male a tutti, senza portare alcun guadagno. Non conviene a nessuno, tranne che per contenere la Cina e la sua produzione.

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