Economia
"Piano di difesa Ue? 800 mld non sono pochi, ma vanno spesi bene. Bruxelles diventi autonoma senza dichiarare guerra a Trump"
Il piano in cinque punti della von der Leyen per ridurre la dipendenza dagli Usa. Ma sarà davvero efficace? L'intervista a Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di strategia aziendale alla Bocconi

Ursula Von Der Leyen
L'Ue si sgancia dagli Usa con un piano da 800mld
L’Unione Europea alza il tiro sulla difesa. Ursula von der Leyen mette sul tavolo un piano da 800 miliardi di euro per rafforzare la capacità militare dell’Europa e sfilarsi dalla dipendenza militare Usa. Il programma, battezzato ReArm Europe, prevede 150 miliardi in prestiti e 650 miliardi di spese militari fuori dai vincoli di bilancio. L’obiettivo? Raddoppiare gli investimenti nella difesa entro quattro anni.
Ma il vero colpo di scena è un altro: von der Leyen propone una "clausola di salvaguardia" che permetterebbe agli Stati membri di escludere le spese militari dal deficit. Tradotto: anche i Paesi con i conti in bilico – come l’Italia – potrebbero aumentare il budget per la difesa senza rischiare sanzioni. Ma l'Europa sta facendo sul serio? E il Patto di Stabilità ha ancora senso? Affaritaliani.it ne ha parlato con Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di strategia aziendale alla Bocconi.
Un piano da 800 miliardi, finanziato anche con l’emissione di bond per 150 miliardi. Ma da dove arriveranno questi fondi?
I soldi non possono che provenire dal debito, in parte già previsto per altre finalità. Pensiamo al Next Generation EU, al nostro Pnrr, al Mes: fondi europei non ancora allocati che potrebbero essere utilizzati e indirizzati a sostegno di spese di questo tipo. Poi c'è un plafond di 650 miliardi che rappresenta, di fatto, extra debito (o extra deficit), perché non si tratta di 800 miliardi da spendere in un solo anno, ma di spese ulteriori che, nella proposta della Von der Leyen, verrebbero escluse dal computo e dai vincoli del Patto di Stabilità. Ovviamente, si tratta di una finzione contabile: il deficit resta deficit e il debito resta debito. L'UE sta semplicemente scegliendo di considerare queste spese come straordinarie, un po’ come è successo con il Covid, quando la validità del Patto di Stabilità è stata sospesa per alcuni anni. Ora, a un solo anno dalla sua riformulazione, il Patto viene di nuovo messo in discussione.
Al di là della provenienza dei fondi, ancora in parte da definire, due cose sono certe. Primo: una parte del denaro che già oggi spendiamo per la difesa – tra 350 e 450 miliardi a seconda dei criteri di calcolo in Europa – verrà riallocata. Attualmente, oltre un terzo di questa somma viene speso per acquistare sistemi d’arma americani. Ora è evidente che una parte di questi investimenti verrà reindirizzata verso piattaforme europee. Finché il Patto Atlantico era solido e l’allineamento politico tra Europa e Usa non era in discussione, i flussi d’investimento procedevano secondo i canoni Nato. Ma con il cambio di approccio dell’amministrazione americana, diventa cruciale capire per cosa verranno spesi questi soldi. Non possiamo continuare a utilizzarli come negli ultimi 30 anni.
Qual è, secondo lei, il modo più efficace per impiegare questi fondi?
Se l’Europa vuole spostare il mix della spesa da un interventismo globale di stampo "globalista" a una difesa territoriale sul modello ucraino, serviranno artiglieria e carri armati, non solo forze leggere per missioni esterne come in Afghanistan, Kuwait o Kosovo, pensate con strutture leggere, diverse da un sistema di difesa territoriale.
Infine, un altro cambiamento fondamentale sarà nello sviluppo di capacità satellitari. L’Europa ha un'elevata dipendenza da Starlink e, visto che i rapporti con la società di Musk sono stati messi in discussione, è ormai evidente che l’Ue non può più permettersi di dipendere da un sistema satellitare privato americano. Questo era già chiaro in passato, ma oggi è diventato una necessità.
Ma questi 800 miliardi sono tanti o insufficienti?
Sono una cifra significativa. Ricordiamo che, prima della fine della Guerra Fredda, l’Europa spendeva il 3-3,5% del Pil per la difesa. Negli anni successivi, quella quota è scesa fino a una media europea dell’1,5-2%. Oggi si tratta di tornare ai livelli degli anni ’80. E, per quanto possa risultare sgradevole ammetterlo, non è una scelta, ma una necessità dettata da una minaccia esterna. Quei soldi, quindi, devono essere spesi, ma soprattutto devono essere spesi bene. Il vero problema è il rischio che i soldi vengano spesi male.
In che modo?
Se ogni Paese decidesse di sviluppare i propri carri armati e sistemi di artiglieria in modo indipendente, la spesa verrebbe frammentata e perderebbe di efficacia.
Quindi l’Europa agirà in ordine sparso o con un fronte comune?
Qui bisogna fare una distinzione: l’Europa politica e amministrativa è una cosa, l’industria della difesa è un’altra. Lo vediamo già con Leonardo, Rheinmetall, Fincantieri e gli accordi con Norvegia, Francia e Germania: stiamo vedendo come si stanno consolidando sempre più grandi sottosistemi della difesa sotto forma di partnership industriali.
Non basta che i governi decidano di aumentare le spese militari: se questi fondi vengono usati in maniera frammentata, il risultato sarà disastroso. Se invece verranno impiegati in modo sinergico, con progetti congiunti tra i vari Paesi, allora sarà possibile ottenere più capacità operativa con meno risorse.
L’amministrazione Trump ha annunciato la sospensione degli aiuti a Kiev. Con questo piano, l’Europa è davvero pronta a prendere in mano la situazione o è solo un piano d’emergenza?
Prendiamo con le pinze le dichiarazioni di Trump. L’amministrazione attuale alla Casa Bianca sta giocando una partita difficile da decifrare, ma estremamente aggressiva e a tratti ricattatoria. Il segnale, però, è chiaro: "Cara Europa, devi diventare autonoma".
Ovviamente, questa autonomia non si costruisce dall’oggi al domani: servono anni, almeno 5-10. Non significa uscire dalla Nato, ma creare un sistema che non dipenda più interamente dagli Usa, come la Francia ha già scelto di fare da tempo scegliendo la strada dell'autonomia strategica.
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Qual è lo scenario reale in questo momento?
Non si tratta solo di questi 800 miliardi: la vera partita si gioca anche sul fronte industriale, organizzativo e nel coordinamento delle forze. Fare difesa non è un gioco, e ormai è chiaro che non può essere gestita su base nazionale, qualunque cosa ne dicano certi sovranisti da quattro soldi. L’idea di una difesa puramente nazionale è un’illusione.
Dovremmo saltare direttamente a un esercito europeo? Sarebbe la soluzione logica, ma è un processo che va costruito. Non accadrà da un giorno all’altro, così come non succederà che l’Europa entri in contrasto con gli Stati Uniti: sarebbe irrealistico e nessuno lo vuole.
L’obiettivo non è la rottura con Washington, ma l’autonomia strategica. Ed è un dovere che l’Europa ha colpevolmente rimandato per troppo tempo.